A quasi un anno e mezzo dallo scoppio del conflitto in Ucraina, si discute ancora della possibilità di un’entrata di Kiev all’interno della Nato. Non nel breve termine, ovviamente. Anche perché il Trattato del Nord Atlantico non consente in alcun modo l’ingresso di uno Stato in condizioni di belligeranza. Piuttosto, invece, nel lungo termine, in un’ottica di trionfo della resistenza contro l’invasore russo. Insomma, l’obiettivo è quello di riprendere le relazioni che portarono il governo di Kiev a presentare domanda per avviare un piano d’azione per l’adesione alla Nato nel 2008.
Nella giornata di ieri, l’auspicio è stato sollevato anche dal segretario generale dell’alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, il quale ha ammesso chiaramente che il futuro dell’Ucraina non può che essere all’interno della Nato. Anzi, “non sappiamo quando questa guerra finirà, ma sappiamo che l’aggressione russa è un modello tossico che deve essere fermato. Dobbiamo quindi continuare a rafforzare le forze armate ucraine. E dobbiamo garantire che siano in vigore accordi solidi e potenti per la sicurezza dell’Ucraina”. Le dichiarazioni sono arrivate durante la visita di Stoltenberg in Ucraina giovedì scorso, visitando anche Bucha, uno dei luoghi più cruenti dei primi mesi del conflitto, dove ha deposto una corona di fiori presso il Muro del Ricordo dei Caduti per l’Ucraina.
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Eppure, nonostante le forti aperture dei vertici dell’alleanza militare, i primi freni arrivano direttamente dalla Germania di Olaf Scholz. Dopo le tensioni di poche settimane fa con gli Stati Uniti, relativamente all’invio dei tank americani, gli Abrams, e quelli tedeschi, i Leopard 2; sulle parole di Stoltenberg è intervenuto il ministro della Difesa di Berlino, Boris Pistorius, in modo tranchant: “Prima di tutto dobbiamo respingere questo conflitto, questo attacco, e poi nella nuova era, questo passo deve essere soppesato con attenzione”. La porta – afferma il ministro – “è un po’ aperta, ma questo non è il momento di decidere sull’ingresso dell’Ucraina della Nato”, riservando la decisione in un momento di “mente fredda e cuore caldo, non viceversa”.
Uno secco no rivolto al segretario generale, che dimostra l’esistenza di una concreta spaccatura all’interno delle stanze dei bottoni dell’alleanza atlantica. Stoltenberg incarna il modello più “radicale” del sostegno all’Ucraina, quello del supporto a tempo indeterminato, tipico dei Paesi Baltici e della Polonia su tutti. Dall’altra parte, Paesi come Germania, Turchia e – soprattutto – Ungheria hanno presentato più che dubbi circa il continuo aiuto militare inviato a Kiev in questi mesi. In mezzo, gli Stati Uniti, primi contributor per la causa ucraina, ma con una chiara linea rossa fissata da Biden: “Non abbiamo firmato un assegno in bianco“.
Questa polarizzazione si è resa ancora più evidente nella giornata di oggi, quando Stoltenberg ha dato il via libera per l’invio di caccia occidentali a Kiev, a margine del gruppo di contatto di sostegno all’Ucraina di Ramstein. Una richiesta agli Stati Nato che deriverebbe, a sua volta, dal presidente ucraino Zelensky, il quale avrebbe chiesto a Stoltenberg, proprio giovedì scorso, i tanto agognati caccia ed i nuovi sistemi di difesa aerea.
Matteo Milanesi, 21 aprile 2023