Sta già facendo discutere l’editoriale odierno del “Times”, quotidiano britannico, in cui si mette in dubbio la reale volontà russa di negoziare un accordo di pace e si chiede all’Occidente di fornire più armi all’Ucraina, affinché “finisca il lavoro”. Cioè: che sconfigga la Russia.
L’editoriale del “Times”, che è un quotidiano indipendente, ma con un’inclinazione tradizionalmente conservatrice, non stona con l’atteggiamento del governo Johnson, favorevole ad un cambio di passo nella fornitura degli aiuti della Nato all’Ucraina. Non stona neppure con le affermazioni di Joe Biden, il quale, con “voce dal sen fuggita”, ha parlato di regime change in Russia, nel momento in cui ha affermato che Putin non ha più il diritto di governare dopo quel che ha fatto in Ucraina. La Casa Bianca lo ha corretto, ha affermato che non c’è alcun regime change in vista (e non ci sarebbe neppure la forza necessaria per compierlo), ma non ha cambiato atteggiamento sulla guerra. Anche il più lucido Segretario di Stato, Antony Blinken, da Rabat (dove era in visita) ha dichiarato ieri tutto il suo pessimismo sulla sincerità dei russi a volere la pace. “Guarderemo ai fatti”, ha detto, a prescindere da quel che sono le parole dei russi.
L’atteggiamento anglo-sassone è radicalmente differente da quello dell’Europa occidentale. Il presidente francese Emmanuel Macron è stato il primo a reagire duramente alle parole di Biden, ritenendole dannose per il tentativo di giungere ad una soluzione di pace in Ucraina: se vuoi abbattere il presidente russo, poi, ovviamente, non puoi metterti d’accordo con lui per un armistizio, men che meno per un trattato. Macron è il leader europeo ad essersi impegnato di più, a nome dell’Ue, nel negoziato con Mosca, prima e durante il conflitto, ma anche i governi tedesco e italiano sono sulla sua stessa linea.
Queste differenze radicali nell’approccio alla Russia e alla sua invasione dell’Ucraina riflettono, grosso modo, la stessa spaccatura nell’interpretare le intenzioni di Mosca prima della guerra. Quando gli Stati Uniti lanciavano l’allarme dell’invasione imminente, infatti, erano soprattutto i governi europei occidentali che mostravano incredulità. Ora gli europei occidentali sono i primi a credere nella buona fede del leader del Cremlino, o per lo meno vogliono dargli una chance, mentre Londra e Washington hanno chiuso la loro linea di credito nei suoi confronti.
I due punti di vista divergono a seconda degli interessi in gioco, soprattutto. L’Europa orientale, Ungheria a parte, si sente minacciata dal revanscismo militare russo e tende a condividere lo stesso punto di vista della anglosfera. L’Europa occidentale, al contrario, non si sente (nemmeno adesso) minacciata militarmente dal Cremlino, ma teme semmai di perdere tutta la fitta rete di interessi, non solo il gas, che ha costruito in questo trentennio con la Russia post-sovietica. Dunque sperava che il conflitto non scoppiasse neppure ed ora auspica che finisca al più presto. Per riprendere a trattare con Mosca come se nulla fosse accaduto? Probabilmente sì, anche se per ora nessuno lo dice. L’anglosfera (Regno Unito, Usa e alleati anglosassoni del Commonwealth) ha meno interessi economici in gioco e avrebbe tutto da perdere in uno scenario di una Russia, dominante sul continente, che tornasse a minacciarne la sicurezza militare.
Gli approcci sono differenti, ma la realtà è una sola, a prescindere dagli interessi in gioco. Qui qualcuno ha ragione e qualcun altro ha torto. I fatti, finora, hanno dimostrato che gli americani e gli inglesi avevano ragione, gli europei occidentali avevano torto. Contrariamente alle ottimistiche previsioni di Francia, Germania, Italia e alleati minori, la Russia ha realmente invaso l’Ucraina, come Biden ripeteva da settimane. Adesso è possibile che i fatti diano ancora ragione alla tesi di Londra e di Washington: nonostante le promesse, i combattimenti non rallentano. La città di Chernihiv, su cui i russi avrebbero dovuto “allentare la presa”, è ancora sotto i bombardamenti.
Nel Donbass, soprattutto a Mariupol, i combattimenti proseguono come se i negoziati di pace neanche esistessero. Continuano i rapimenti dei sindaci nelle città occupate dai russi (due solo ieri), così come gli arresti di giornalisti e attivisti: mosse di una forza di occupazione che non intende abbandonare il terreno spontaneamente, ma si prepara a restare. Se viene allentata la presa su Kiev, è probabilmente solo per le difficoltà logistiche e militari dell’Armata russa e non per una manifestazione di volontà di porre fine al conflitto, secondo l’analisi del “Times”.
Nella bolla informativa putiniana in Italia, esperti militari e civili continuano a dar ragione al Cremlino. Anche dopo 35 giorni di stallo, non ammettono che il suo esercito sia in difficoltà, né che il suo piano abbia dovuto subire variazioni a causa della tenace resistenza ucraina. Vivendo in questa bolla, è difficile, per ogni italiano informato, pensare che ci sia qualsiasi finale alternativo alla inevitabile sconfitta ucraina ed ogni sforzo (invio di armi, di aiuti, promesse e appoggio politico) servirebbe solo a prolungare l’agonia. Ma al di fuori della nostra bolla putiniana, nel resto del mondo occidentale, generali del calibro di David Petraeus, già vincitore dell’ultima fase di guerra di contro-insurrezione in Iraq, ritengono che l’Ucraina possa, a questo punto, anche vincere, se debitamente armata ed equipaggiata dalla Nato.
Perché l’esercito russo, dopo un mese di stallo, è veramente in difficoltà e la sua vittoria è tutt’altro che scontata. Da questo punto di vista, è possibile che la proposta di pace russa sia dettata più dalla necessità di riprendere fiato (e rilanciare l’offensiva in tempi migliori) più che dalla volontà sincera di giungere alla pace. Invece, fornire armi agli ucraini permetterebbe loro di “finire il lavoro” (per usare le parole del “Times”): arrivare alla pace, ma da una posizione di forza.
Stefano Magni, 30 marzo 2022