Se non ve ne foste accorti, un paio di giorni fa Luigi Di Maio, ovvero il diplomatico che dava dell’animale a Putin, è andato a New York e ha portato nella sua cartellina il “piano di pace” per l’Ucraina redatto dalla Farnesina.
Ad Antonio Guterres, Luigino ha mostrato le 4 tappe di questa grande road map verso la fine delle ostilità: 1. cessate il fuoco, 2. neutralità dell’Ucraina senza ingresso nella Nato, 3. risoluzione delle questioni territoriali in Donbass e Crimea, 4. un nuovo patto per la sicurezza europea e internazionale. Novità? Nessuna, benché Repubblica l’abbia spacciato per chissà quale rivoluzionario passo in avanti.
Di concreto in realtà c’è poco o niente. Solo l’indicazione di un percorso. Né la Russia né l’Ucraina sembrano disposti infatti ad accettare per il momento il cessate il fuoco. Sulla neutralità di Kiev e il patto per la sicurezza l’accordo era quasi stato raggiunto già dai negoziati avviati nei primi giorni di guerra, e si spera – viste anche le parole di Zelensky sulla Nato – che possa essere un punto di partenza. Mentre sul Donbass e la Crimea le parti sono ad una distanza siderale. Kiev lo ha detto chiaramente: non intende fornire una via d’uscita a Putin e non vuole cedere sulla sovranità. Di più: il consigliere del presidente, nonché capo negoziatore, Mikhailo Podolyak, ha spiegato che “fino a che la Russia non è disposta a liberare completamente i territori occupati, i nostri negoziatori sono le armi, le sanzioni e i soldi”. Non proprio un ramoscello d’ulivo.
Il trionfale entusiasmo di Di Maio è stato infatti smorzato oggi dal portavoce del ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba. Repubblica scrive che a Kiev “il piano di pace del governo italiano non è passato inosservato” (immaginiamo…) e che lo si sta valutando insieme ad altri. Tradotto: bello, ma non servirà gran che. “Allo stesso tempo – ha spiegato infatti il portavoce Oleg Nikolenko – ogni decisione politica deve partire dal rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina nei suoi confini così come sono riconosciuti dalla comunità internazionale”. Ovvero, su Crimea e Donbass non si torna indietro. Non per adesso, almeno.
L’idea di Di Maio e del governo, infatti, è che le due regioni contese possano avere piena autonomia amministrativa e anche strumenti di sicurezza propria, anche se la sovranità (che tipo di sovranità resterebbe, a quel punto?) sarebbe in capo a Kiev. Peccato che da giorni gli ucraini facciano sapere a destra e a manca che non intendono tornare di nuovo allo stallo dei due accordi di Minsk, già siglati in passato e di fatto mai rispettati. Col rischio, teme l’Ucraina, che tra qualche anno si torni punto e daccapo. Con una nuova invasione.