Che il mondo stia cambiando, e in peggio, non lo vede solo chi non lo vuole vedere, e chi non lo vuole vedere sono gli stessi che quando accadono tragedie di dimensioni bibliche, nella fase uno sono bravissimi a fare le facce sorprese, nella fase due, a distanza di qualche giorno dalla fase uno, sono bravissimi a spiegare l’inspiegabile e a giustificare l’ingiustificabile e che poi, con una nonchalance che farebbe invidia a un parigino, passano alla fase tre: quella in cui accusano le vittime di aver in qualche modo, magari offendendolo, istigato la reazione del vero colpevole del disastro che, in questa logica malata, è diventato il poverino che è stato offeso dalla vittima cattiva.
Per cui, secondo questi geni, è in qualche modo giustificabile ciò che è accaduto. Ma c’è di più, ci sono anche quelli che alla fine fanno la morale alle vittime dicendo loro che sono state anche fortunate perché la reazioni dei poveri offesi poteva anche essere più forte e incisiva. Per cui per tutti, noi compresi, è necessario, anzi obbligatorio, imparare da ciò che è accaduto per non dare ai poveri aggressori il motivo di aggredirci ancora.
L’algoritmo del Politicamente corretto
L’11 settembre, il Bataclan, Charlie Hebdo sono fra i più famosi e anche quelli che, dopo aver subito atroci attentati, hanno trovato dei fantastici giustificatori e divulgatori della verità vera, quella che dopo aver incolpato le vittime le trasforma in colpevoli in base a un algoritmo che si chiama Politicamente corretto. L’algoritmo Politicamente corretto, non si applica solamente in questi casi, ma lo possiamo ritrovare, in tutte le sue varianti, in molti degli aspetti della vita politica internazionale. Una volta, quando questo algoritmo non era ancora stato scoperto, una firma di pace o di normalizzazione delle relazioni fra una qualsiasi delle nazioni arabe e Israele era accolta con gioia da tutti, razzisti e antisemiti di destra e di sinistra compresi, che, con un nuovo trattato di pace, avrebbero sentito parlare un po’ di meno dello Stato degli Ebrei al telegiornale delle 13:00 o delle 20:00, fastidio che ha sempre rovinato i pranzi e le cene di queste brave persone.
Una volta, quando l’algoritmo ‘Politicamente Corretto’ non era ancora stato scoperto, i leader di tutto il mondo avrebbero fatto a gomitate pur di farsi invitare alla cerimonia della firma di trattati di pace o di normalizzazione, perché partecipare, battere le mani e prendersi un po’ del merito sulla lieta novella anche se fino al giorno prima non sapevano nulla di quello che succedeva dietro alle quinte della diplomazia, era cosa buona e giusta. Ma si sa, lo disse anche John Keats intorno al 1810, che “La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana”. Con l’avvento dell’algoritmo però John Keats ha perso di importanza e molti leader, soprattutto europei, hanno scoperto il bello del non partecipare, e per dirla alla Moretti in Ecce Bombo “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” e, alla fine, fra tutte le nazioni europee, l’unica dove forse ancora leggono le poesie di Keats e non si dà peso al politicamente corretto è l’Ungheria.
L’assenza dell’Ue
Anche se il condizionale è d’obbligo sembra che il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó sarà l’unico leader diplomatico dell’Ue a partecipare alla cerimonia di firma del trattato di normalizzazione fra Israele e Emirati Arabi Uniti e fra Israele e Bahrein, che si terrà nel Giardino delle Rose della Casa Bianca a Washington. A questo punto la domanda sorge spontanea: e tutti gli altri? Difficile credere che il cerimoniale dell’Amministrazione Trump non abbia fatto pervenire per tempo alle ambasciate di tutto il mondo gli inviti per l’evento, e allora come si spiegano le defezioni? Semplice, la risposta a questa domanda è direttamente collegata all’algoritmo di cui sopra perché, tranne che per il fascista Viktor Orbán, questa pace o normalizzazione non è politicamente corretta per diversi motivi che vanno dalla non soluzione del problema palestinese a una sorta di alleanza anti Iran. Perché i traditori sunniti che, sentendosi minacciati dalla possibilità che gli sciiti diventino nucleari, hanno deciso di allearsi con gli ebrei, nemici storici, e lo hanno fatto addirittura sotto l’egida di un presidente come Trump che è il nemico numero uno dei liberal americani.
Cosa imperdonabile.
Tutto questo che c’azzecca? Niente, anche se secondo logica quella di oggi dovrebbe essere una buona notizia, Considerando però che il tasso antisemita della Ue, sia a sinistra che a destra, e pure in certi ‘centri’, in prevalenza cattolici, è ampiamente superato dalla avversione a Trump, nel momento in cui questi due “nobili” sentimenti si uniscono, si crea la massa critica e, di conseguenza, si vedono reazioni scomposte, a volte pericolose a volte divertenti.
Fatto sta che al Giardino delle Rose saranno, forse, anche in questo caso il condizionale è d’obbligo, presenti gli ambasciatori… il minimo sindacale di un evento che, a prescindere dalla presenza o meno dei leader europei, a prescindere dalle critiche che si fanno sempre meno velate e a prescindere da quello che pensa la sinistra mondiale, cambierà il Medioriente molto più di quello che fecero i freddi trattati di pace con Egitto e Giordania. Perché, in questo caso, le popolazioni si incontreranno, si conosceranno e impareranno a convivere. E forse saranno d’esempio anche a tutti gli altri popoli della regione.
Michael Sfaradi, 15 settembre 2020