Fu lui in quegli anni a spiegare a israeliani e americani, con i quali aveva rapporti consolidati, che il primo governo Berlusconi, nonostante avesse imbarcato Gianfranco Fini, non era un esecutivo di post fascisti. In una sola giornata incontrò Shimon Peres e Arafat: al primo spiegò l’essenza del nuovo governo italiano e il secondo gli chiese di far aprire alcune catene di negozi di abbigliamento (citò Benetton) nei Territori. Fu lui a spiegare agli italiani perché le tasse non sono belle e che la flat tax è utile. «Berlusconi mi ha detto era anche più radicale di me, sull’adozione della flat tax». E fu lui ad insegnare ad una generazione di studenti che la spesa pubblica fatta in deficit non è altro che una tassa sotto mentite spoglie.
Appena nominato ministro, Martino ricevette una telefonata di congratulazioni da Friedman, al quale chiese un consiglio su come comportarsi da politico: «Compromessi sui dettagli sono accettabili gli disse il premio Nobel – mai sui principi». Una piccola grande lezione che Martino già conosceva e che bene rappresenta la sua vita.
«Come sta professore?», retoricamente gli chiedevo ogni volta che lo sentivo. E da anni rispondeva: «Compatibilmente».
Nicola Porro, Il Giornale 6 marzo 2022