Le foreign fighters? Si arruolano nell’Isis per scappare da «genitori conservatori e una società da cui non si sentono incluse né rispettate». È la bizzarra tesi di Azadeh Moaveni, reporter californiana di origini iraniane che oggi riceve a Milano il premio Cutuli, dedicato alla memoria della giornalista del Corriere della Sera uccisa in Afghanistan 18 anni fa. E proprio il Corriere ha dedicato una breve quando sconcertante intervista alla Moaveni, che spiega le ragioni dell’attrattiva dello Stato islamico per le combattenti. «Diversamente dai gruppi jihadisti che l’hanno preceduto», argomenta la giornalista, «l’Isis ha promesso alle donne ruoli importanti, non solo come mogli e madri», lasciando intravvedere la possibilità di riempire un vuoto lasciato dal fallimento delle Primavere arabe. E anche «per le europee ci sono dietro storie personali di ribellione: contro genitori conservatori e una società da cui non si sentono incluse né rispettate».
Insomma, il principale quotidiano nazionale commemora una sua giornalista assassinata da due afgani, pubblicando i vaneggiamenti di una reporter che sembra indicare nell’Isis un campione dell’emancipazione femminile. E che dà la colpa degli arruolamenti di donne occidentali nella jihad ai «genitori conservatori» e alla società che non le capisce e non le valorizza. Poverine: oppresse nei Paesi in cui vigono parità di accesso allo studio e alle professioni e libertà sessuale, queste vittime del maschilismo corrono ovviamente tra le braccia dei fondamentalisti islamici. Loro sì che promettono «ruoli importanti». Ad esempio, quello delle schiave sessuali: la fine che fanno di solito le eroine sensibili alle sirene del Califfato.
Ironia della sorte, poche ore prima che fosse pubblicato questo articolo sul sito del Corsera, si apprendeva che uno dei presunti rapitori di Silvia Romano, la cooperante milanese sequestrata un anno fa in Kenya, non si è presentato in tribunale a Malindi dove doveva essere processato. La ventiquattrenne sarebbe viva, ma, come aveva rivelato qualche mese fa Il Giornale, è stata forzata a contrarre un matrimonio con rito islamico. La sua città, intanto, accoglie la giornalista premiata perché ci racconta che il segreto del «successo» dell’Isis è stato il coinvolgimento delle leader femminili. Chissà, quella povera ragazza, quanto desidererebbe tornare dai «genitori conservatori», nella società che non la include e non la rispetta…
Alessandro Rico, 16 novembre 2019