Follie woke

L’ultima idea, eliminare il parto: “Liberiamo le donne dalla gravidanza”

L’utero in affitto non basta più: meglio bimbi fabbricati con l’ectogenesi. “Un nuovo modo per diventare genitori”

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gravidanza

Il comandamento imperante è: tutto quel che si può fare, ebbene si faccia. Che era anche l’idea cardine di Hitler, il quale senza la protoinformatica non avrebbe potuto gestire così agevolmente 6 milioni di ebrei spediti ai forni. Oggi c’è qualcosa di simile e in fondo di più perverso, di più demoniaco se possibile, perché aggredisce la morte da prima della vita: si punta a eliminare il parto come momento generativo, sostituendolo con procedure in provetta. Tipo la carne sintetica, altra issue dell’ideologia neoprogressista. Carne in provetta, feti in provetta.

L’idea cardine viene magnificata dalla Stampa, testata progressista, con un pezzo molto, molto ambiguo e, per chi scrive, abbastanza ignobile, attribuito a una “scrittrice e ricercatrice” indipendente (da cosa, da chi?), tale Laura Tripaldi, 30 anni. Perché intervento ambiguo? Semplicemente perché sotto la patina di cerchiobottismo, l’approccio finto prudenziale per cui la tecnologia è mirabile ma pericolosa, occorre sorvegliarla, non si sa dove porta e tutto il resto del repertorio pseudoumanistico del genere piccolo borghese, si risolve in un tripudio del “quel che si può fare, ebbene si faccia”.

Ci si spreca ad evocare la distopia, ma facilmente la si supera, si cita lo Stranamore a capo del progetto “ectogenesi”, che è una formula criptica, di quelle che usano sui giornali progressisti e nel salottino di Fabio Fazio, tanto la gente meno capisce e più rincretinisce, ma basterebbe chiamarlo partorire senza parto perché risalti in tutto il suo orrore; e lo Stranamore avverte: se ci inoltriamo su questa strada, apriamo il Vaso di Pandora. Che, notoriamente, nessuno poteva richiudere più. Ma basta evocare l’agnellino di laboratorio – ancora carne in provetta, e tutto va a posto. Sistemate le false cautele, la lunga, illeggibile articolessa si risolve in una esaltazione quasi fanatica del “tutto ciò che si può fare, si faccia”.

Si pesca la filosofa engagé, Maureen Sander-Staudt, che ammaestra: “L’ectogenesi ha anche il potenziale di spostare il significato culturale di gravidanza, nascita e maternità, alienando ulteriormente l’umanità dalla natura”. Si va oltre con un’altra filosofa, oscura, da cercare col lanternino, la Anna Smajdor che “ha definito lo sviluppo dell’ectogenesi totale un “imperativo morale””; si spinge con la Shulamith Firestone, una vestale del femminismo radicale scomparsa una decina d’anni fa, capace di credere che “questa trasformazione tecnologica avrebbe determinato anche la scomparsa della famiglia patriarcale. Le bambine nate dagli uteri meccanici della sua utopia tecnofemminista sarebbero state allevate dalla comunità, costruendo reti sociali e affettive svincolate dai rapporti di parentela e di sangue”.

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A questo punto, il gioco si svela. Gli “uteri meccanici” che producono feti e dunque nascituri meccanici, ma questo non lo si precisa, finalizzati all’eterno mito protocomunista della repubblica di Platone. Come a dire: forza compagni, che stavolta ce la facciamo. O, come mi ebbe a dire uno stalinista durante un talk show, “questa volta i piani quinquennali possono riuscire perché abbiamo la tecnologia del controllo”. Fino a un attimo prima si era scagliato contro la tecnologia del controllo usata dal “capitalismo neoliberale”: vedi caso, la stessa formula usata da questa ricercatrice di nicchia, ingaggiata dalla Stampa per quello che ha tutta l’aria, almeno per chi scrive, di un intervento a richiesta, per andare a parare altrove. Pieno di tirate mistico-deliranti come la seguente: “La preoccupazione diffusa per il collasso demografico nell’occidente sviluppato, sostenuta dall’evidenza che, nel capitalismo neoliberale, la gestazione e la maternità sono per molte donne incompatibili con il lavoro e gli studi. Allo stesso tempo, il crescente riconoscimento di nuove forme di famiglia al di fuori della famiglia eterosessuale ci spinge a immaginare nuovi modi – anche assistiti dalla tecnologia – in cui diventare genitori. In effetti, sotto molti punti di vista, la possibilità di un’ectogenesi totale appare come un’opportunità senza precedenti di appianare, una volta per tutte, la disuguaglianza intrinseca al lavoro riproduttivo, delegandolo interamente alla tecnologia”.

Puro marxismo d’accatto in salsa tecnologica, ma il marxismo, questa peste di due secoli fa, senza tecnologia è niente. C’è tutto l’armamentario del peggiore ideologismo woke: c’è l’attacco alla famiglia “tradizionale”, l’apertura a nuove dimensioni parentali, la liberazione dal “lavoro di merda” di triste memoria, legata agli autonomi di Toni Negri, a conferma che il comunismo è una risacca, torna sempre, ammantato di nuove istanze, ma quello rimane, come ha colto perfettamente Ryszard Legutko. “Così come un tempo si riteneva assurdo che le donne votassero o andassero a cavallo”, viene ricicciata ancora la Smajdor, “allo stesso modo potrebbe un giorno apparirci assurdo che fossero incatenate ai processi degradanti e pericolosi della gravidanza e del parto semplicemente a causa della nostra incapacità di immaginare un’alternativa”.

Chiosa da parte sua la ricercatrice “indipendente”. “Se l’origine dell’oppressione femminile è davvero biologica, l’ectogenesi trasformerebbe la differenza sessuale in un accidente genetico come tanti altri, rendendo il suo significato culturale quasi completamente insignificante. Forse l’identità di genere come la conosciamo oggi si dissolverebbe del tutto, e con essa anche le disuguaglianze sociali ed economiche che la accompagnano. E se la genitorialità diventasse del tutto svincolata dalla biologia sessuale, anche l’idea che esista una ‘famiglia naturale’ più legittima di tutte le altre potrebbe apparirci un giorno solo come un retaggio del passato”.

Non sono passaggi spregevoli, sono solo immaturi come lo può essere la convinzione, liceale, ginnasiale, che essere madri “non meccaniche” sia penalizzante, opprimente, e che cavar fuori feti da manipolazioni di laboratorio, feti come il Covid, servirebbe ad annientare i generi, la famiglia, a scatenare, finalmente, la rivoluzione di classe che il proletariato o quel che ne rimane non si sogna di volere perché gli preme di più Sanremo e, al limite, l’aumento in busta paga. Non l’ha mai voluta, in realtà: la rivoluzione al sangue fu, dall’Illuminismo in avanti, un puro gioco intellettuale delle classi istruite e benestanti, come storicamente arcinoto. La suffragetta indipendente pare abbia fatto un libro, “Gender Tech. Come la tecnologia controlla il corpo delle donne”: e vagheggia una tecnologia antagonista in grado di sottrarre “il corpo delle donne” al controllo: fermo restando che è un vecchio vizio femminista quello di autodegradarsi a puro corpo, identificando la donna nella sua esclusiva fisicità, forse bisognerebbe spiegarle che, parlando di tecnologia, chi inventa la barca inventa anche il naufragio e non si è mai dato un caso in cui un tecnologia che produce determinati effetti possa produrre allo stesso tempo gli antidoti.

Se a valere è la regola “tutto ciò che si può fare, ebbene che si faccia”, allora bisogna andare alle estreme conseguenze. Che non sono mai la tabula rasa rivoluzionaria, ma il trionfo del “capitalismo neoliberale”. Per dire, le Brigate Rosse sparavano, ammazzavano cercando soluzioni cambogiane, castriste, maoiste o neoleniniste, cioè sbocchi catastrofici: e non si accorgevano che, intanto, ben altra rivoluzione, la robotica, la fabbrica automatizzata, rendevano i loro macelli puramente coreografici, estetici. Ma la nostra ricercatrice Laura è troppo giovane per ricordare, e forse troppo formattata per capire.

Max Del Papa, 5 dicembre 2023

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