Il dibattito

L’unica strada è la disciplina di bilancio

Lo spread risale e gli interessi pure? Cosa evitare in manovra: monetizzare il debito e aumentare la spesa pubblica

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In merito all’articolo “È più grave la crisi del debito dello spot di Esselunga”, pubblicato su queste pagine da Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, mi permetto di sottolineare alcuni aspetti particolarmente critici.

In primis, la tesi secondo cui il nostro debito, pur gigantesco, costituendo una piccola frazione di quello globale, ci consentirebbe di non tener conto degli umori dei cosiddetti mercati (mercati che per la cronaca rappresentano una moltitudine sparsa di soggetti, compresi i piccoli risparmiatori italiani). Si tratta a mio avviso di una tesi assai suggestiva che, in un certo qual modo, risulta speculare a quella, sempre sostenuta dai fautori della moneta facile, secondo cui siamo troppo grandi, in Europa, per fallire. A tale proposito vorrei ricordare che l’Argentina fece default nei primi anni 2000 con un debito pubblico che era circa un ventesimo di quello Italiano dell’epoca. In sostanza il governo del grande Paese sudamericano si rese conto di non poter estrarre dalla propria economia risorse sufficienti non per ripagare il debito pubblico – cosa che nessuno Stato al mondo sarebbe in grado di fare nel mondo moderno – bensì per onorare a tempo indeterminato il costo di tale debito, ossia i relativi interessi.
Pertanto, più che la dimensione, conta la sostenibilità di tale debito. Sostenibilità che non può prescindere da ciò che i nostri keynesiani in servizio attivo permanente avversano come la peste: una solida disciplina di bilancio. Tant’è che, a meno di non prestare fede alla classica cospirazione finanziaria della cupola demoplutocratica, l’aumento dello spread di questi giorni – che come è noto rappresenta in differenziale dei nostri Btp decennali rispetto agli omologhi tedeschi – ne è una evidente dimostrazione.

Ebbene, con un indebitamento che viaggia spedito verso i 3.000 miliardi di euro, un deficit ancora troppo alto – che le dinamiche interne alla maggioranza impediscono di ridurre quanto si dovrebbe – e una economia che galleggia a malapena, appare inevitabile dover pagare un prezzo più elevato sul piano degli interessi. In tal senso, il ritorno dello stesso spread sui livelli di guardia dei 200 punti costituisce un primo avvertimento di ciò che viene definito avversione al rischio. Un avvertimento che, in soldoni, il ministro dell’Economia Giorgetti ha stimato che ci costi all’incirca 15 miliardi di maggiori interessi. Assai significative in questo senso le sue parole: “A me fanno paura non le valutazioni dell’Ue ma quelle dei mercati che comprano debito pubblico. Io tutte le mattine mi sveglio e ho un problema: devo vendere debito pubblico e devo essere accattivante per convincere la gente ad avere fiducia”.

E per convincere la gente ad avere fiducia, soprattutto in questo delicato momento storico, ci sono due cose che bisogna assolutamente evitare: monetizzare il debito, così come i nostri amici vorrebbero che la Bce riprendesse a fare, e allargare ulteriormente i cordoni della spesa pubblica corrente, vera spina nel fianco del sistema Paese.

Claudio Romiti

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