Gerard Baker, ex direttore del miglior quotidiano del mondo, il Wall Street journal, ha scritto che il giornalismo si è ormai tanto trasformato da non essere ormai più distinguibile dalla propaganda. In effetti, già prima della pandemia, eravamo passati dalla fase in cui il giornalismo mainstream, cioè di sinistra, manipolava le informazioni, a una nuova, in cui le notizie sono ormai totalmente inventate. Basti vedere in questi giorni sul Covid come si siano sparse autentiche fake news, ad esempio quella dei giovani in terapia intensiva in Puglia, di cui non c’è traccia, e altre amenità.
In questo scenario il giornalista può anche non condurre inchieste e recarsi sul campo, tanto la realtà che dovrà raccontare è già definita dalla partitura voluta da altri. Mi è venuto in mente tutto ciò assistendo al caso grottesco della recente caccia alle streghe a tre giornalisti, Chiara Giannini, Francesca Totolo e Salvatore Dama. Inviati per testate diverse a Lampedusa, hanno raccontato ciò che hanno visto (e l’hanno pure filmato), cioè situazione fuori controllo, immigrati infetti liberi di girare, furti, aggressioni, fino al famoso caso del cane rubato da clandestini e fatto alla brace.
Questa è la versione dei tre giornalisti, che hanno scritto pezzi diversi tra loro, peraltro su testate pagate da Berlusconi e da Angelucci, non come molti inviati Rai prodighi di versioni del tutte opposte (l’isola è un incanto, i lampedusani sono felici e i lupi baciano gli agnelli): inviati Rai, cioè pagati da noi. Quella è la versione di Giannini, di Totolo e di Dama. Altri inviati forniranno la loro, e il pubblico sceglierà chi preferire. Nei paesi liberi è cosi. Da noi no. Perché tutti e tre sono stati sottoposti prima al solito shitstorm programmato dei cani da tastiera, troll e bot della sinistra e dei 5 stelle. Ma poi, cosa ancor più grave, sono stati attaccati da Articolo 21, fino a chiedere provvedimenti disciplinari dell’Ordine dei giornalisti contro di loro: si badi, Art. 21 sarebbe un’associazione di tutela dei giornalisti, oltre ad ispirarsi alla libertà di stampa e di parola.
Invece qui si vuole chiudere la bocca a questi cronisti. Nel Mondo della Nuova Fede, quella globalista e immigrazionista, erede di quella descritta dal grande Czesław Miłosz dopo essere fuggito dalla Polonia comunista, non sono consentite versioni diverse rispetto a quelle ufficiali: la mente deve restare prigioniera dell’idea che l’immigrazione clandestina sia ottima cosa e arricchisca il nostro modo di vita, e chi non è d’accordo è un razzista a cui come tale va tolta la parola. L’unico giornalista buono è quello immigrazionista.
Perché il peccato di Giannini, Totolo e Dama è quello di lavorare per testate non conformiste, estranee al mainstream progressista, E già questo è grave assai. Il loro secondo peccato è quello di non essere proprio convinti dalla favoletta immigrazionista: non vogliono far sparare ai clandestini, non invocano neppure bum bum come alcuni loschi figuri, semplicemente pensano che l’immigrazione clandestina danneggi gli italiani. Il loro terzo, più grave difetto, è quello di raccontare tutto quello che vedono, certo con un punto di vista, legittimo, e secondo noi, giusto.
Del resto il racconto neutro non esiste, si descrive sempre partendo da una prospettiva: solo che per Beppe Giulietti, capo di Articolo 21 ed ex parlamentare postcomunista, l’unica prospettiva consentita sembra essere quella immigrazionista. Vogliamo sperare che all’ordine dei giornalisti non siano cosi folli o codardi da colpire. In ogni caso, questa vicenda ci conferma nelle nostre più fosche previsioni: ormai sono capaci di tutto.
Marco Gervasoni, 21 agosto 2020