Cronaca

Ma anche la scuola sia libera di cacciarla

Elena Maraga è libera di spogliarsi su OnlyFans ma anche di pagare il prezzo delle sue scelte. La scuola deve poter difendere la propria visione

Elena Maraga (2) © kot63 tramite Canva.com
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Movimento vitale, tensione muscolare e forza espressiva: come per la ninfa della Venere di Botticelli, direbbe Warburg, forte delle forme del pathos, il corpo femminile svelato ha, al tempo stesso, la capacità di alludere e di nascondere. Così la vicenda di Elena Maraga, maestra d’asilo in una scuola paritaria cattolica a Varago di Maserada, in provincia di Treviso, attiva anche sulla piattaforma per adulti OnlyFans, ha scatenato il più classico dei contrasti tra opposte tifoserie.

Rimbalzando da un libertinismo a favore di webcam a un moralismo domenicale e striminzito, fino ai micidiali salotti televisivi pomeridiani che ci fanno compagnia nel succedersi dei primi bagliori primaverili, ne è scaturito un dibattito che si è immediatamente attestato sul solo attrito tra opposti pregiudizi, prevedibile e già da subito esaurito. Tuttavia vale la pena provare a non far cadere nel vuoto siderale del voyeurismo questa occasione e, invece di perderci in una lotta tra clan rivali, buttare un occhio su di un aspetto non proprio collaterale: la posta in gioco potrebbe essere un’altra e molto più alta.

La Maraga lavora in una scuola cattolica, un’istituzione che intreccia un’identità educativa specifica con le complessità di un ente paritario: privata sotto molti aspetti, ma vincolata a rigidi ordinamenti statali. È un’impresa, pur senza scopo di lucro, che dà lavoro e si regge su una missione educativa inequivocabilmente chiara. Qui, il corpo della Maraga – spogliato con fierezza su OnlyFans e trasformato in una fonte di reddito – diventa il pretesto per riflettere sul ruolo delle interferenze statali in materia economica. Non si tratta solo di moralità spicciola, tutt’altro: quel corpo sfida effettivamente il progetto educativo della scuola, e la scuola, a sua volta, non vuole subirne passivamente le conseguenze.

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Sicuramente libera di scegliere, la maestra di Varago, fuori da ogni paternalismo, deve essere altrettanto libera di pagare il prezzo delle sue scelte. È una dipendente e come tale legata a un contratto e a un contesto preciso che non può essere minimizzato, a meno che non si voglia intendere che la stessa libertà di scelta si applichi sul piano individuale ma non su quello dell’impresa, perché proprio qui entra in gioco un principio più alto. La scuola, come attività economicamente attiva, dovrebbe poter difendere la propria visione senza paralisi imposte da obblighi giuslavoristici. Walter Block, ne Le ragioni della discriminazione, suggerirebbe che ridurre a zero le interferenze statali non è un capriccio, ma una questione di vita o di morte: solo così infatti la proprietà dell’impresa resta davvero tale, e non il feudo di un decisore terzo. Perché se lo Stato regola tutto – accessi al lavoro, limiti di pertinenza, concorrenza – la partita è truccata, e il banco vince sempre, calpestando proprietà privata e volontà associativa.

Torniamo alla Maraga. La sua difesa del posto di maestra a tempo indeterminato è legittima, e il presunto pareggio tra genitori favorevoli e contrari anticipa una tensione che, comunque vada, lascerà serpeggiare del malumore. La scuola potrebbe reintegrarla, assecondando una parte dei genitori e le parallele spinte sindacali. Oppure potrebbe licenziarla, restando fedele alla propria missione educativa radicata nel Catechismo. Non c’è una scelta chiaramente più vantaggiosa in termini di consenso immediato, eppure c’è una valutazione di lungo termine di cui bisogna tener conto: la coerenza con un progetto pesa quanto la libertà di rimanere ancorati alla propria visione, senza intromissioni. Per questo, al di là del caso specifico, l’opposizione alle ingerenze del Grande Regolatore (lo Stato) è un avamposto che difende cattolici e atei, privati puri o a partecipazione statale, ma anche lo stesso lavoro dipendente, favorendo una cooperazione spontanea tra soggetti con missioni produttive tra loro analoghe.

Difendere la libertà dell’impresa a darsi una fisionomia secondo le proprie inclinazioni e convinzioni significa proteggere la libertà economica di tutti. Difendere invece chi, come la maestra, si spinge oltre quel progetto, qualunque esso sia, vuol dire sindacalizzare il rapporto contrattuale. Si finisce così per torchiare la volontà di uno dei due contraenti, consegnandolo nelle nodose mani dello Stato: nel caso della scuola di Varago, sospesa in un interregno fatto di pastorale e piattaforme a pagamento, come anche per altre imprese che provino a bilanciare il monopolio statale, questo significherebbe il fallimento.

Per questo l’impresa deve poter ragionare in un’ottica di lungo termine, dove la fedeltà a un orizzonte preciso è un investimento credibilmente solido. Anche perché, come abbiamo visto nel periodo pandemico, le istanze sindacali sono più che altro la continuazione della politica (dello Stato-Leviatano) con altri mezzi.

Michele Ferretti, 25 marzo 2025

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