Ma esiste davvero Chiara Ferragni? Le ultime e un po’ squallide notizie che la riguardano la vedrebbero protagonista di una triste storia a base di pandoro. Sembrerebbe che esista. In effetti quasi nessuno di coloro che la “seguono” l’ha probabilmente mai vista dal vivo. E cosa seguono quindi? Un’idea? Un fantasma come avrebbe detto Umberto Eco? Un’immagine che si agita dietro uno specchio?
Che cosa esiste veramente del fantasma–Ferragni? Al di là dello show perenne sulla pseudo-vita filtrata dagli schermi, oltre le storie e i video a misura di smartphone o alle sporadiche e selezionatissime apparizioni tv, chi ci dice che colei che è nota col nome di Chiara Ferragni esista veramente? A testimoniarlo sono trucchi, borsette, accessorietti di varia natura, oggettini di dubbio gusto e tante, tante foto. Una presenza-assenza che avrebbe stordito persino Carmelo Bene. Oltre al fatturato, chiaramente. Quello è assolutamente reale.
V’è qualcosa di diabolico in questa fantasmagoria chiamata Chiara Ferragni. Un nulla che genera altro nulla; il vuoto che attira a sé le attenzioni e i desideri di chi invece c’è ma sogna di scomparire dietro a uno specchio e fatturare attraverso esso. Inutile banalizzare il mistero del suo successo dietro ai soliti triti concetti; invidia, voyeurismo, desiderio represso, desiderio esplicito, ammirazione d’accatto. Essa è il frutto più maturo del capitalismo al suo crepuscolo. Il perfetto idolo del liberismo più satanico. Un’oggetto speciale che spicca in tutto il sistema degli oggetti baudrillardiano.
Non ho mai conosciuto alcuno che acquistasse un pandoro sulla cui custodia cartonata campeggiasse il brand Ferragni. Sono stato fortunato. Tuttavia a chiunque provi a svelarne l’enigma, sociologo, filosofo o intellettuale che sia, rimane sempre un dubbio: perché qualcosa che probabilmente nemmeno esiste ha tanto successo? Forse nemmeno il marito della signora l’ha mai toccata o avuto prova della sua tangibilità. E se tutte le immagini da Truman Show che la coppia ci propina fossero prodotte da un avanzatissimo algoritmo? Molto più avanzato di quello che decreta il successo della signora su Instagram. O magari da un’intelligenza artificiale (quale pessimo utilizzo)?
Di nuovo la domanda affolla la mente dell’indeciso: cosa c’è di reale in Chiara Ferragni? Dicono imprenditrice digitale. E cosa produce? Altri la fanno “influencer”. Boh, che sarebbe? I più antiquati la definiscono “fashion blogger”. Un po’ riduttivo. Proprietaria di un brand di moda. Ce ne sono tanti…
No, ci si rifiuta di ridurla ad un fenomeno commerciale. Semmai un vero e proprio fenomeno religioso.
Nessuno la vede, nessuno la tocca ma si sa che esiste attraverso le immagini. Icona posticcia dell’era digitale in cui il corpo è il primo e più importante oggetto di consumo.
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Lei (il fantasma) e il di lei marito sembrano averlo capito bene, e infatti fanno dei loro corpi degli strumenti di rendita capitalistica. Così come delle loro vite e di quelle della loro prole.
Ecco dunque, forse è questo il segreto svelato. Essa non vende creme, trucchi, scarpe, borse, vestiti o pandori. Il ciarpame viene dopo. I consumatori acquistano solo lei. È lei che vogliono consumare, che vogliono stringere. Un pezzettino del suo incomprensibile successo. Una di quelle cose che piacciono non si sa bene il perché, ma devono piacere per forza. Una sorta di patente per la cittadinanza postmoderna. Anche il disprezzo va bene, sia chiaro. Si monetizza pure quello. Il vortice delle interazioni arricchisce sempre il magnate digitale. Il silenzio sarebbe l’unica arma d’attacco efficace. Distogliere lo sguardo.
Eppure, chiunque cerchi di dare una parvenza di significato al mondo, non può che interrogarsi sul mistero di questa folle manifestazione del capitalismo immateriale. Questo fantasma metropolitano, questo idolo a misura di appena-alfabetizzati.
Jean Baudrillard profetizzò la sparizione della realtà e il trionfo del falso sul vero. Andrè Gorz vide il progressivo disperdersi del capitale fisso in favore di quello smaterializzato. Il meccanismo di arricchimento digitale non prevede più una ripartizione dei profitti tra creatori e consumatori ma fa convergere tutte le ricchezze sui primi, dando ai secondi solo una soddisfazione temporanea.
Un leggero stato di euforia nell’apatia miserabile della vita reale. Che tale euforia derivi dall’ammirazione per il nuovo, costosissimo attico, alla venerazione del nuovo, modernissimo forno (bisogna sempre vendere prima di tutto) o dalla critica verso uno stile di vita considerato censurabile, chi sta dietro lo schermo ci guadagna in ogni caso.
Sempre ammesso che dietro lo schermo ci sia davvero qualcuno.
Monetizzazione della vita, commercializzazione del privato. Essa, il fantasma, è in effetti privat-a, nel participio passato del verbo ‘privare’. Privata del privato. O meglio si auto-priva della dimensione privata per consegnare alle fauci dei milioni di seguaci invisibili anche gli aspetti più miserabili della sua esistenza virtualizzata.
Che sia questo il motivo per cui piace? Cosa sono i followers se non degli spettatori? Un pubblico sempre presente che plaude, critica, commenta e ammira.
Ebbene, essa ha ben recitato, applauditela! Od odiatela! Tanto è uguale, lei ci guadagna sempre. Anche dalla polemica a base di pandoro. Non esiste pubblicità negativa. Perderà qualche spettatore ma va bene così. Anche la coscienza è monetizzata. Sempre la solita coscienza civile. Una noia! Non ci regala nemmeno l’originalità di buttare alle spalle il patetico civismo, lei che potrebbe proprio in quanto essenza incorporea.
Ma alla domanda iniziale non abbiamo ancora risposto. Esiste davvero Chiara Ferragni? In fondo, a chi importa veramente? I social sono il luogo dove i morti fingono lo spettacolo della vita in favore di altri moribondi che guardano.
Perché più guardano, meno vivono. Questo è il trucco su cui la signora basa le sue fortune. Che esista o no l’importante è vendere. Fin quando ci saranno pandori da vendere, forni da pubblicizzare, asciugacapelli da reclamizzare, il fantasma si paleserà.
Probabilmente, essa esiste. Ma è un trucco digitale. Basta una stringa di algoritmo diversa e tutto crolla. E il fantasma svanirebbe assieme alla paccottiglia su cui imprime il suo marchio. Sul fondo della farsa digitale alla fine non resta niente, tranne i soldi. Quelli esistono, eccome.
Francesco Teodori, 19 dicembre 2023
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