Immaginate se in casa vostra – ereditata dai vostri padri – a un certo punto decideste di ospitare qualcuno che, invece di rispettarla, la denigra e la insulta ogni giorno, nostalgico dei tuguri da dove lo avete strappato. Che cosa gli direste di fare? Come minimo, lo invitereste a lasciare la vostra dimora, se ingenera tanto ribrezzo.
Si può in sostanza spiegare così l’ultimo polverone mediatico e politico abbattutosi su Trump, nientemeno che dipinto come razzista da un voto della Camera – anche se nessun repubblicano ha appoggiato la mozione. È vero che in un’America in cui mai i rapporti tra le razze sono stati cosi equilibrati l’accusa di razzismo da sinistra è ormai talmente generica da risultare quasi una medaglia. Ma in questo caso più che in altri essa è del tutto fuori luogo.
Andiamo a vedere cosa dicono quotidianamente Alexandria Ocasio-Cortez, Ayanna Pressley, Ilhan Omar e Rashida Tlaib le quattro deputate oggetto, sia pur senza nominarle, del tweet in cui Trump le invitava a tornare nei loro paesi di origine: «L’America ospita campi di sterminio (al confine con il Messico)». « La politica americana è in mano agli ebrei». «Trump persegue i neri e usa Black faces, finti neri, per manipolare gli elettori di colore ». Fino all’intervento più clamoroso, quello della sudanese Omar: «possa Allah aprirci gli occhi e farci capire il male che rappresenta Israele ».
L’America dipinta dalle squad, come sono chiamate le quattro, è insomma il regno dell’orrore e della nequizia, retta da un governo de facto fascista – senza che le signore sappiano cosa voglia dire questa parola.
Nell’invitarle a ritornare nei loro paesi di origine – anche se tre di loro sono nate negli Stati Uniti – Trump ha voluto fornire il suo personale contributo al dibattito sulla identity politics. E ha voluto ribadire che si è americani non perché vi si è nati, ma perché si condivide e si rispetta un patrimonio culturale, linguistico, costituzionale, a cui hanno contribuito mille nazionalità , fedi religiose, culture, diverse tra loro ma tutte pronte a condividere il Grande Patto, ideale continuazione di quello siglato alle origini della nazione americana.
Valori che le squad, e una parte consistente del partito democratico, non sembrano invece più condividere. Per loro l’America deve essere solo un assemblaggio di identità particolari, uniche e incomunicabili, in cui l’islamico siede accanto al latino, il bianco accanto all’asiatico, accomunati da nulla, se non dal fatto di vivere sullo stesso territorio – termine che non a caso prende sempre più il posto di quello di nazione. E siccome queste identità particolari non possiedono più nulla in comune che le leghi, finiscono necessariamente per scontrarsi tra loro. E non è un caso che tutte e quattro le deputate attacchino quotidianamente gli ebrei e siano nemiche giurate di Israele.
Nella forma comunicativa più in linea con lo spirito contemporaneo, e con la brutalità necessaria alla durezza dei tempi, Trump si conferma ancora una volta il più strenuo difensore dell’identità occidentale e dei suoi valori . Che, spiace ricordarlo, sono «superiori», perché maggiormente in linea con la natura umana, a quelli delle civiltà extra occidentali. Cara Alexandra, Ayanna, Ilhan Omar e Rashida, buon viaggio di ritorno, allora.
Marco Gervasoni, 18 luglio 2019