Macché onda nera: la Meloni porta freschezza

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La democrazia è una forma di governo aperta, plurale, dinamica e incline a produrre trasformazioni. Chi ne ha una concezione statica e di immutabilità dei rapporti di forza, in essa espressi, si pone in una dimensione di estraneità ai postulati democratici. Fra coloro che si possono annoverare fra i democratici “labili” ci sono i postillatori che descrivono l’avanzata elettorale della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, come una minacciosa «onda nera», in un’accezione negativa che richiama il nostalgismo neofascista.

Così i commentatori del settimanale L’Espresso analizzano le traiettorie elettorali con il pregiudizio ideologico, incarnando un reducismo «antifa» e diagnosticando, clinicamente, di essere affetti da transfert: proiettano su altri le proprie frustrazioni. La delusione di non avere un nemico reale che corrisponda all’identikit del fascista, a cui imputare la minaccia antidemocratica per continuare a ricavare una rendita di posizione nel reclutarsi in una illusoria trincea antitirannica, genera la necessità di attribuire arbitrariamente appartenenze nostalgiche a chi, come la Meloni, gode di un consenso in ascesa e alternativo ai superstiti della contrapposizione ideologica. Ricondurre il successo di Giorgia Meloni e della destra ad un movimento tumultuoso dipinto di un nero squadrista, come se avesse una matrice dispotica, significa abusare di un’equazione irrancidita e falsa: destra = neofascismo.

I relitti della contemporaneità sono coloro che interpretano l’attualità politica con le lenti deformanti dell’ideologia, palesando una carenza di diottria nell’interazione con i fenomeni politici che scrutano a visibilità sfocata perché non li sanno leggere senza abbandonare le categorie delegittimanti del passato. Ci sono gruppi editoriali che negli anni si sono accreditati come custodi del tempio democratico, godendo di una rendita perpetua, una sorta di vitalizio intellettuale, nel circuito mediatico. Man mano che il tema del fascismo si è logorato, non rappresentando una minaccia incombente per la nostra democrazia, i monopolisti dell’istanza democratica si sono sentiti smarriti e disinnescati nella narrazione di un’ostilità non più attuale. La forzatura con cui stabiliscono la correlazione fra lo sfondamento elettorale della destra, in regioni tradizionalmente orientate a sinistra, e il pericolo neofascista è il sintomo di un’assuefazione a schemi ormai appassiti.

La sinistra governa dal 2012, a parte la breve parentesi gialloverde, riuscendo a consolidare il proprio potere nelle istituzioni nonostante sia minoranza nel Paese. In nome dell’antifascismo qualcuno pensa di sabotare il cambiamento, che si annuncia in ogni consultazione elettorale, prefigurando effetti paralizzanti sulla nostra democrazia con il paradosso che i presunti antifascisti vorrebbero generare evidenti esiti fascisti.

Nelle regioni al voto si avverte un’onda d’urto che provocherà un sussulto anche al governo centrale, che non potrà rimanere indifferente all’ennesima bocciatura popolare delle forze politiche che lo sostengono. Un’onda liberatoria e di freschezza per le idee seminate nel vigore dell’attualità e non derubricabili come piante sfiorite allevate nella serra ideologica della manipolazione della realtà.

Andrea Amata, 9 settembre 2020

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