Alla fine Emmanuel Macron ce l’ha fatta. C’è voluto un mese e mezzo di complicate consultazioni dopo la batosta elettorale per dare alla Francia un nuovo primo ministro. Sempre che regga alla sfida dell’Aula e quella dei conti statali, non proprio rosei. Il presidente ha incaricato Michel Barnier di “formare un governo di coalizione al servizio del Paese e dei francesi”. Già, ma quale tipo di coalizione?
Nei giorni scorsi Macron aveva “bocciato” senza appello la proposta avanzata dal Nuovo Fronte Popolare, l’alleanza delle sinistre socialiste, comuniste, ecologiste e mélenchoniste. Luice Castes, economista, 37enne, è stata cassata in virtù del principio politico espresso dall’inquilino dell’Eliseo: il problema non è trovare un nome, ma costruire “una maggioranza”. Infatti già tirare fuori dal cilindro il suo profilo era stato complicato all’interno di una coalizione variegata come quella di sinistra, figuratevi riuscire ad accaparrarsi anche i voti dei centristi. Nel comunicato in cui spiegava la sua candidatura, il Nfp descriveva Castes come una “militante delle lotte per la difesa e la promozione dei servizi pubblici, attivamente coinvolta nella battaglia delle idee contro la pensione a 64 anni”. E questo era il suo più grande problema: i centristi macroniani hanno governato fino all’altro ieri sostenendo a spada tratta la riforma delle pensioni voluta e pensata da Gabriel Attal per mettere a posto i conti statali. Sarebbe stato impossibile appoggiare l’esatto contrario.
Infatti, alla fine la scelta di Macron è caduta su Barnier che è un esponente dei Republicains. Ovvero dei gollisti di destra. Una scelta che renderà più facile trovare l’appoggio – o la non belligeranza – della destra anziché della sinistra. E lo si capisce dalle prime dichiarazioni rilasciate a caldo. Con Jordan Bardella il Rassemblement National si limita a “prendere atto” della nomina e a richiedere il “meritato rispetto” per gli 11 milioni di elettori lepenisti. “Giudicheremo in base all’evidenza il suo discorso di politica generale, le sue decisioni sul bilancio e le sue azioni – aggiunge – Chiederemo che le principali emergenze dei francesi, potere d’acquisto, sicurezza, immigrazione, siano finalmente affrontate e ci riserviamo qualsiasi mezzo d’azione politica se non sarà questo il caso nelle prossime settimane”. Sulla stessa linea, più o meno, anche Marine Le Pen che esige dal nuovo capo del governo “le nostre idee”. “Saremo attenti al progetto che porterà avanti e attenti a garantire che le aspirazioni dei nostri elettori, che sono un terzo dei francesi, vengano ascoltate e rispettate”, ha aggiunto Le Pen. Non è un endorsement, ma neppure una dichiarazioni di guerra.
Toni molto più indignati arrivano invece da sinistra. “Le elezioni sono state rubate”, sbraita Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise. “Non è il Nuovo Fronte Popolare che ha vinto le elezioni che avrà il primo ministro e la responsabilità di presentarsi davanti ai deputati”, attacca il leader della sinistra. Gli fa eco Olivie Faure, segretario del Partito socialista francese: “La negazione della democrazia ha raggiunto l’apice: un premier del partito che è arrivato quarto e non ha nemmeno partecipato al fronte repubblicano. Entriamo in una crisi del regime”.
Chi è Barnier? Ex negoziatore Ue per la Brexit, ex commissario europeo per la Politica Regionale, già ministro. “Questa nomina arriva dopo un ciclo inedito di consultazioni nel corso delle quali, in conformità con il suo dovere costituzionale, il presidente si è assicurato che il primo ministro e il governo riunissero le condizioni per essere i più stabili possibili e darsi l’opportunità di creare la più ampia coalizione possibile”, scrive l’Eliseo. La speranza è che la sua figura possa radunare un numero sufficiente di deputati per portare avanti la legislatura e non costringere Macron a prendere altre drastiche decisioni. Il fatto che Rn non farà “alcuna censura di principio” lascia intendere che, forse, la Francia per un po’ è a posto. Per un po’.