I magistrati che si sono abbandonati alle aggressioni verbali contro il leader della Lega Matteo Salvini fanno emergere quanto sia bacata in alcuni ambienti la cultura del diritto. Delle chat di magistrati intercettate sul telefono dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, nella disponibilità della Procura di Perugia, sono stati divulgati frammenti di dialoghi ripugnanti indirizzati al senatore Salvini. Le conversazioni si riferiscono al periodo in cui il leader del Carroccio era ministro dell’Interno (agosto 2018) e Palamara lo apostrofava come una «merda» e commissionava la necessità di osteggiarlo. «Ora bisogna attaccarlo» intimava l’ex presidente del sindacato delle toghe.
I magistrati nei dialoghi intercettati vedevano in Matteo Salvini un avversario da abbattere, palesando una faziosità e un settarismo che dovrebbero essere estranei al loro ufficio che è fondato sul principio di imparzialità. La bilancia è il simbolo della giustizia che richiama l’equilibrio e la misura che, nelle conversazioni transitate sul telefono di Palamara, sono state screditate, contribuendo a fomentare quel clima di sfiducia che aleggia sul sistema giustizia. Con quale serenità il cittadino Matteo Salvini potrà affrontare il processo per sequestro di persona che lo vede imputato per aver bloccato nel luglio del 2019 lo sbarco di 131 clandestini ospiti della Gregoretti?
Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, ha il dovere di intervenire per tutelare l’indipendenza della politica dalla “scorreria” di componenti della magistratura che proditoriamente si assumono un incarico di contrapposizione politica che è lesivo dello Stato di diritto. Il presidente Mattarella può agire per bonificare la vita pubblica dai veleni che si sono insinuati nelle articolazioni vitali delle istituzioni di tipo giudiziario. Il silenzio assordante degli esponenti di sinistra ne conferma il collateralismo con gli ambienti politicizzati della magistratura a cui hanno demandato tacitamente la mansione di surrogarsi alla loro debolezza per depotenziare l’avversario di turno.
Ieri il bersaglio era Berlusconi, che scardinò la gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria, mentre oggi è Salvini il principale ostacolo alla perpetuazione del potere di una sinistra elettoralmente sfibrata. Anche il loquace Renzi ha rinfoderato la lingua nella fondina per esaurimento delle cartucce lessicali, sprecate nel salvare Bonafede dalla mozione di sfiducia, non intervenendo per censurare le ingerenze della magistratura. Eppure, Renzi qualche mese fa replicò all’azione investigativa delle toghe nei confronti della fondazione Open accusandole di provocare un «vulnus democratico».
La vicenda corrobora l’urgenza di riformare la macchina asmatica della giustizia senza ledere l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, che non deve tracimare dall’alveo costituzionale che ne sancisce l’imparzialità nell’esercizio delle sue funzioni.
L’indipendenza dell’ordine giudiziario significa affrancamento da ingerenze esterne, ma non esenzione da responsabilità conclamate. I magistrati sono sottoposti alla legge e alla legge debbono obbedire, inchinandosi alla famosa tripartizione dei poteri. Alcuni giudici mettano giudizio!
Andrea Amata, 23 maggio 2020