Il cammino verso la riforma costituzionale ha finalmente raggiunto un punto di svolta. Il Ddl costituzionale ha ricevuto il “via libera da parte della maggioranza con ‘piena condivisione'”. L’accordo è stato raggiunto durante la seconda riunione di maggioranza, organizzata dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha messo intorno a un tavolo Antonio Tajani, Matteo Salvini, Elisabetta Casellati e gli alleati di centro (Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi). Il testo sarà presentato al prossimo Consiglio dei Ministri, previsto per venerdì 3 novembre.
Il premierato
La riforma costituzionale proposta dal governo Meloni prevede la rivoluzione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio. Nelle nuove proposte, tuttavia, non è prevista l’istituzionalizzazione del vicepremier, né poteri di nomina e revoca dei ministri sarebbero in capo al premier e non ci sarebbe neppure la sfiducia costruttiva alla tedesca. L’articolo 92 della Costituzione verrebbe così riformulato: “Il governo della Repubblica è composto dal presidente del Consiglio e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al presidente del Consiglio dei ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Il presidente del Consiglio dei ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura”.
Meno poteri al Capo dello Stato
Tra le altre misure, viene introdotto lo stop della nomina di altri senatori a vita, ruolo che resterà in vigore solo per gli ex presidenti della Repubblica. In questo modo sarebbe scongiurato un caso “Monti-bis”, quando Napolitano nominò senatore a vita il professore per poi incaricarlo come premier. Allo stesso modo, verrebbe di fatto ridotto il numero dei senatori a vita che in passato hanno garantito anche la tenuta di governi con maggioranze precarie. Un’altra novità importante è che i poteri del Capo dello Stato rimarranno invariati, con l’eccezione della nomina del premier che si trasforma di fatto in conferimento dell’incarico al presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini. Resta in capo al Quirinale, come visto, la decisione di sciogliere le Camere.
Come si vota
Secondo la proposta di riforma, le elezioni avranno luogo con una scheda unica dove si può votare per una delle liste che sostengono il candidato a capo del governo e per il candidato stesso. È previsto un sistema elettorale maggioritario con un premio del 55% assegnato su base nazionale che garantirebbe il 55% dei seggi nelle Camere ai candidati e alle liste collegate al premier eletto.
Il processo di nomina del premier
E adesso arriviamo a come si svolgerebbero le elezioni se questo dl venisse approvato a scatola chiusa. Dopo le elezioni, il presidente della Repubblica incarica il premier uscito vincitore e lo manda di fronte alle Camere che, come visto, dovrebbero essere al 55% composte dai parlamentari della maggioranza. Qualora il premier non dovesse ottenere la fiducia, cosa improbabile ma in Italia nulla è mai scontato, il capo dello Stato può reincaricarlo una seconda volta. Se neppure in quel caso il premier ottenesse la fiducia, allora le Camere dovrebbero essere sciolte e gli elettori mandati subito alle urne.
Nella bozza si legge: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al governo presieduto dal presidente eletto, il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al presidente eletto di formare il governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”.
Diverso il caso in cui la fiducia venisse a mancare durante il corso della legislatura. In caso di “cessazione dalla carica” del premier, il Parlamento può proporre un sostituto purché sia espressione della stessa maggioranza uscita dalle elezioni e ne rispetti le proposte elettorali. La chiamano già “clausola anti ribaltone“. “In caso di cessazione dalla carica del presidente del Consiglio – si legge nel testo – il presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il governo del presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”. Niente più governi tecnici, insomma. Come nel caso del governo Monti, che – alla caduta di Berlusconi – mise in piedi un esecutivo appoggiato anche da forze politiche uscite sconfitte dalle elezioni.