Il fatto avrebbe dell’inverosimile, se non vivessimo in un Paese nel quale, soprattutto dopo l’arrivo del virus cinese, non sembra più esserci alcun limite alla sempre più onnipotente burocrazia sanitaria. Come riporta un lungo servizio pubblicato su La Stampa, il tanto atteso Paxlovid, il farmaco anti Covid elaborato dalla Pfizer, sarebbe stato somministrato ad appena 10.000 soggetti, in luogo di una platea di oltre 600.000 persone fragili, a cui lo stesso farmaco è riservato. Si tratta di un medicinale che, a quanto risulta dagli studi effettuati, offre agli immunodepressi una copertura dal rischio di malattia grave dell’85%, ovvero addirittura superiore ad alcuni dei decantati vaccini realizzati in fretta e furia.
Malgrado siano già trascorsi due mesi e mezzo dall’arrivo in Italia del farmaco in oggetto, come accade da sempre per tante altre vicende di ordinaria follia burocratica, risulta piuttosto arduo comprendere di chi sia la responsabilità di codesto inusitato blocco. Da quanto riporta l’articolo, la presidente dei farmacisti lombardi, Annarosa Racca, ha segnalato la mancanza di un foglietto illustrativo in italiano, individuando in ciò la causa nel rallentamento della somministrazione. Ma da quel che si è potuto capire, pare che sia in atto un palleggio tra medici di base e ospedali, che sarebbero gli unici a disporre di quantità elevate di un farmaco ancora introvabile sul territorio.
Nella inevitabile polemica scatenata da una vicenda ancora molto oscura si è inserito Guido Rasi, scienziato che ha guidato per una decina di anni l’Ema, l’agenzia del farmaco europea. Queste le sue parole: “Sarebbe utile capire quale quota degli oltre mille morti che ancora contiamo ogni settimana si sarebbe potuta giovare di questo antivirale. Credo che ci troveremmo davanti a numeri abbastanza alti”. Inoltre, dato che attualmente il tale farmaco è previsto solo per i soggetti fragili, Rasi propone di ampliarne la platea a tutti gli over 70, cercando di “capire come trarre il massimo vantaggio da questa terapia in vista dell’autunno.”
Ora, dato che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina, secondo un celebre motto attribuito a Giulio Andreotti, il quale sembra che lo sentì esprimere nel 1939 dal cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani, viene il sospetto che in questo ennesimo pasticciaccio brutto di natura sanitaria stia giocando un ruolo la linea ultra-vaccinista a cui si è incatenato il governo Draghi/Speranza. Una linea più politica che sanitaria, la quale ha partorito l’abominevole strumento del lasciapassare “verde”, realizzando un odioso ricatto vaccinale ai danni dei cittadini che grida ancora vendetta.
In tal senso il vaccino, presentato come l’elisir di lunga vita, ha costituito l’anello terminale e salvifico di una successione di eventi – contagio, malattia grave, ricovero in terapia intensiva e probabile decesso – esposti dal potere e dal giornale unico del virus come evitabili solo col vaccino medesimo, tanto da far dire pubblicamente al premier Draghi che “chi non si vaccina muore.”
Tuttavia, con l’arrivo della pillolina antivirale della Pfizer, il rischio di veder crollare un castello di carte fondato sulla paura è divenuto concreto, offrendo agli immunodepressi un farmaco assolutamente alternativo ai vaccini e ai milioni di paranoici di ritorno un formidabile placebo contro la micidiale paura indotta dalla comunicazione del terrore. Stando così le cose, forse c’è dell’altro, oltre la nostra classica elefantocrazia, sotto il mistero dell’antivirale scomparso. Nutriamo la Speranza che un giorno esso venga svelato.
Claudio Romiti, 4 maggio 2022