Giorgia Meloni, nel suo scarso anno di governo, può lo certamente intestarsi il merito di aver tenuto in ordine i conti pubblici, sebbene una prossima legge di Bilancio da far tremare i polsi metterà a dura prova la sua maggioranza. In estrema sintesi, secondo alcuni analisti mancano a bocce ferme una trentina di miliardi, la qual cosa mal si concilia con gli ambiziosi progetti che, sostenuti a spada tratta da alcuni ministri particolarmente esuberanti, spuntano come funghi. Tra una riforma fiscale, un taglio del cuneo fiscale e ulteriori, miracolose finestre di pensionamento anticipato e quant’altro, la lista dei sogni desiderabili sostenuta nella coalizione di destra-centro risulta inevitabilmente lunga.
Ed è probabilmente anche per questo che la premier si è fatta convincere ad adottare, attraverso un inusuale blitz notturno, la misura che tassa i cosiddetti extraprofitti delle banche. Anche perché l’idea – così almeno si era stimato all’inizio di questa operazione – di racimolare un cospicuo numero di miliardi dalle odiatissime banche, oltre a battere sul terreno della facile demagogia l’opposizione pentasinistra, avrebbe dato un po’ di ossigeno al Bilancio proprio in previsione della prossima, complicatissima legge finanziaria. Tutto questo, occorre sottolineare – considerando che in Italia sembra ancora molto dominante una visione del sistema creditizio di stampo medievale, in cui nell’immaginario collettivo il banchiere assume le sembianze di un untuoso Shylock shakespeariano -, risulta poi piuttosto remunerativo sul piano del consenso di breve termine.
D’altro canto, se in un Paese incarognito da anni di sostanziale stagnazione economica, in cui la parola prospettiva è stata eliminata dal vocabolario di molte persone, il numero degli odiatori di professione è cresciuto a dismisura, sparare a zero contro le banche senza alcun distinguo e con scarsi criteri di fattibilità è senz’altro un buon affare sul piano della popolarità interna. In pratica è come se l’attuale governo avesse ritenuto più conveniente perdere un pezzo di credibilità internazionale, duramente e meritatamente guadagnata in questi mesi, in cambio di un ritorno di popolarità in patria, vestendo i panni di un Robin Hood che toglie ai ricchi banchieri per dare ai poveri oppressi dai mutui e dalle tasse.
Ma che si tratti, ahinoi, di pura propaganda è scritto nero su bianco nel decreto che spezzerà le reni ai banchieri. Infatti, malgrado ciò che ha tenuto a precisare il volitivo vicepremier Matteo Salvini, una entrata una tantum, qual è l’extratassa in oggetto, non può servire per un taglio strutturale della pressione fiscale e né, di fatto, a sostenere chi ha incautamente sottoscritto un mutuo a tasso variabile, pensando che la droga dei tassi negativi durasse all’infinito, in base ai demenziali desiderata degli adepti della famosa MMT, secondo la quale per generare ricchezza è sufficiente gettare moneta ad libitum dagli elicotteri. Questo per il semplice fatto che sarebbe quasi impossibile individuare un criterio per selezionare e poi ristorare i soggetti penalizzati dall’inevitabile rialzo dei tassi.
Quindi, alla fine della giostra, dopo che la trattativa con i rappresentanti delle banche avrà ulteriormente ridotto l’importo della tassa – già peraltro ridimensionato dalle toppe che ha dovuto mettere il povero Giorgetti – , il presunto sostegno alle vittime dei mutui finirà con tutta probabilità per alimentare il fondo di garanzia interbancaria sui depositi. Pertanto, sempre in tema shakespeariano, molto rumore per nulla, avendo perso l’occasione di affrontare in modo meno approssimativo i nodi che affliggono il complesso rapporto tra cittadini e istituti di credito, tra cui l’eccesso della solita burocrazia e la mancanza di un vero mercato concorrenziale che aiuti e orienti gli stessi cittadini verso una visione della finanza maggiormente consapevole.
Infine, questa imbarazzante vicenda, ha anche creato una assurda spaccatura, analogamente a ciò che è accaduto durante la pandemia, tra entusiasti della tassa punitiva e critici, spesso a ragion veduta, della misura; quest’ultimi additati come fiancheggiatori delle perfide banche. Personalmente, non avendo mai fatto mistero di aver votato per i partiti della maggioranza, mi sento autorizzato ad esprimere una certa preoccupazione per la piega che sta prendendo l’azione dell’esecutivo Meloni, in cui noto un eccessivo uso della propaganda. Propaganda che fa parte del gioco politico, ma che alla fine, come dimostra l’esempio delle sfolgoranti meteore politiche di questi anni, rischia di scontrarsi duramente con quell’odiata realtà che non smette mai di portare il conto ai governi di turno.
Claudio Romiti, 14 agosto 2023