Rassegna Stampa del Cameo

Manifestazione Sì Tav, 4 considerazioni politicamente scorrette

Rassegna Stampa del Cameo

Due gli autori di questo Cameo. La “ciccia” è di X, un importante professionista, da tre lustri a Torino, la cui clientela alto borghese (savoiarda-fiattina-sanpaolina), era tutta in piazza Castello, il “contorno” è mio. Ho consigliato X di non esporsi di persona, meglio che firmi solo io, in termini nicciani, sono ormai al di là del bene e del male, non devo più temere i birbanti nascosti dietro il politicamente corretto.

A scanso di equivoci, alcune puntualizzazioni:

1. Sono a favore della Tav, perché quando i lavori di un’opera importante sono in corso da tanti anni fa, questi si completano, punto.

2. Il parallelo con la “Marcia dei 40.000” è una volgarità storica, per me (fui uno degli organizzatori) inaccettabile. Quella era una marcia di popolo, partita con un decimo dei partecipanti finali, una massa ingrossatasi lungo il percorso, con un mix finale costituito da operai, impiegati, quadri, casalinghe, pensionati (c’era anche mia mamma, ex operaia Fiat), nessun borghese, con un unico nemico, il losco Enrico Berlinguer, versione barricadero. Noi lavoratori (manager, quadri, operai) volevamo tornare in fabbrica, rifiutavamo le seghe mentali del Pci, della triplice sindacale, degli intellettuali di regime.

3. Curiosa questa “rivoluzione torinese 2.0” su un oggetto come la Tav, dopo il silenzio su un mega evento come la “perdita della Fiat” per Torino. L’avete finalmente capito, cari amici borghesi, che è stato Barack Obama a comprare Fiat e non viceversa, come vi hanno fatto credere i “competenti” nostrani? Eppure era facile: dove c’è il quartier generale, la finanza, l’innovazione, il marketing, la logistica, l’amministrazione, lì c’è la vita, lì c’è il futuro. Da tempo queste funzioni sono tutte a Detroit. A Torino sono rimasti alcuni capannoni dai nomi prestigiosi (Mirafiori), declassati a banali stabilimenti cacciavite. Non provate come me, un profondo senso di sgiai verso costoro? Eppure, allora niente sit-in. Il finale è stato confermato: “Torino entra fra le aree di crisi industriale” (La Stampa 13/11/18). Tutto previsto dalle persone perbene.

4. Noi borghesi non abbiamo ancora capito che il Ceo capitalism impoverisce tutti. Facciamo quattro conti nelle nostre tasche. Prendiamo il nostro patrimonio e reddito prima della sciagurata mossa di Giorgio Napolitano (2011). Per 7 anni il Paese l’hanno gestito, a loro piacimento, i “Quattro Cavalieri dell’Apocalisse”, nel marzo 2018 la maggioranza dei cittadini li ha licenziati per manifesta incompetenza. Valutiamo oggi patrimonio e reddito, e ci accorgeremo di quanto siamo impoveriti. Per dirla con Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: “i numeri non dicono bugie”. Appunto. Il resto è cipria.

Sabato io ero a Pescara a presentare, a una platea di 750 giovani (meravigliosi per l’attenzione e la sensibilità), il mio libro Il Cancro è una comunicazione di Dio. A Torino c’era l’amico X. Ecco il suo racconto.

“Stavo camminando verso piazza Castello, quando ho incontrato un cliente (un nobile savoiardo): “Vieni anche tu?”. “No, perché non è una marcia, ma un sit-in, e i cambiamenti si fanno marciando, non stando fermi”. Subito l’ho considerata una frase di quelle che i nati bene sono soliti dispensare agli altri. In realtà, le sue parole hanno continuato a essere presenti nella mia mente. Più mi avvicinavo al palco, più riconoscevo volti noti di amici, conoscenti, clienti. L’età era alta-altissima, pochi ventenni, pochissimi trenta-quarantenni. Mi accorsi subito di non provare nessun sentimento di appartenenza con costoro, allora mi chiesi, alla Bruce Chatwin: “Che ci faccio io qui?”.

Osservandoli e conoscendone la tipologia capivo che erano lì più per difendere uno status quo in declino che per innescare un cambiamento. Loro erano il potere che aveva gestito la città negli ultimi trent’anni. Da “foresto” mi sono chiesto: com’è possibile rimettere in marcia la città con costoro? Mi guardo intorno. Sono tutti lì, composti, educati, perfettini, ma fermi. Dietro di me un’elegante Mariastella Gelmini dispensa complimenti sull’educazione di questa città (sic!). È vero, sono tutti educati, ma l’energia dov’è? Certo, bisogna cambiare, ma quelli di questa piazza sono il cambiamento? Sono gli stessi che nella professione mi hanno sempre guardato con diffidenza, l’ho sperimentato sulla mia pelle in questi tre lustri torinesi”.

Che dire? X ha ragione. A Torino abbiamo avuto il nostro En marche? Lo capiremo presto. Il “Popolo delle Signore” finirà come il mitico “Popolo Viola”? Lo sapremo a maggio 2019, quando finalmente torneremo a votare.

Riccardo Ruggeri, 14 novembre 2018