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Manifesto Ventotene, se lo applichiamo l’Ue collassa

Il documento del 1941 fonda le proprie ragioni su argomenti che sono fortemente contraddittori e illiberali

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“Una piazza per l’Europa” è la manifestazione, tenutasi sabato scorso, nata da un appello pubblicato su Repubblica da Michele Serra con lo scopo di riaffermare i principi e i valori dell’Unione europea ritenuti in pericolo, a suo dire, da populismi e sovranismi. In tale occasione è stato ricordato il Manifesto di Ventotene, oggetto, successivamente di ampie critiche da parte del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Quest’ultima, infatti, ha tenuto a rilevare l’esistenza di numerose incongruenze tra quanto affermato in tale documento ed i valori fondanti l’Unione europea anche in relazione agli sviluppi futuri della stessa.

In effetti, il Manifesto di Ventotene, scritto dagli antifascisti Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante il loro confino presso l’isola di Ventotene nel 1941, sviluppa un ragionamento in senso federale dell’Europa, che è decisamente opposto al processo d’integrazione europea che, poi, si è realizzato nei decenni successivi.
Prima di tutto vi è da dire che nel Manifesto di Ventotene era prevista la creazione degli Stati Uniti d’Europa mediante il superamento dello Stato nazionale con lo scopo di giungere ad uno Stato federale. Ciò sarebbe dovuto avvenire anche con la formazione di proprie forze armate. Sappiamo bene, invece, che l’obiettivo principale del processo di integrazione europea si fonda, fin dagli albori, nella creazione di un mercato comune realizzato attraverso la limitazione – e non la totale soppressione – della sovranità nazionale.

Ma a prescindere da ciò, il Manifesto, il cui titolo completo è “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un Manifesto” fonda le proprie ragioni su argomenti che sono fortemente contraddittori. Infatti, se da un lato ritiene che “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”, dall’altro pone argomentazioni che appaiono palesemente illiberali. È appena il caso di leggere, a riguardo, la parte terza del Manifesto, in cui viene indicato il progetto di riforma della società del dopoguerra.

Quest’ultima, infatti, per Spinelli e Rossi, deve essere organizzata riprendendo “il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali”; a tal proposito si afferma che “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio”, sul presupposto che “le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione, hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e fa loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita”. E, ancora, il Manifesto prevede ed esalta forme di assistenzialismo per cui “I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita”.

Il Manifesto ritiene anche che le origini dei totalitarismi e lo scoppio delle guerre mondiali siano da rintracciarsi nell’imperialismo capitalista e, tra le righe, si legge come il fascismo ed il nazismo siano stati la naturale evoluzione dello Stato liberale. E questo è un errore profondo che, ancora oggi, molti ritengono corretto: confondere, cioè, la vera destra con il fascismo. È un grosso equivoco – e lo sottolineo – perché la destra ottocentesca e liberale, denominata destra storica, non ha nulla in comune con il fascismo e con le altre dittature, ritenute di destra, del XX secolo. Per destra storica faccio riferimento, nello specifico, non solo ad esponenti del calibro di Cavour, di Ricasoli, di La Marmora, di Minghetti, ai quali va riconosciuto il merito di aver fatto evolvere la Monarchia costituzionale pura in una forma di governo parlamentare, dando così voce agli interessi della classe borghese e proprietaria, quest’ultima vero motore di una società davvero libera, ma anche ad uomini della destra più conservatrice come, ad esempio, Sidney Sonnino.

Ecco, la vera destra non ha nulla a che vedere con il fascismo, che, tra l’altro, affonda le proprie radici nel socialismo. Lo stesso Mussolini proveniva dalle file del socialismo, il quale aveva dato vita ad uno Stato totalitario profondamente interventore sia nell’economia che nella vita degli uomini. Spinelli e Rossi, nel Manifesto di Ventotene, invocano una rivoluzione che ponga, sì, fine al fascismo e agli altri regimi totalitari, ma che, tuttavia, avrebbe dovuto portare ad una nuova “dittatura del partito rivoluzionario”. Ecco perché non ha senso portare avanti, oggi, un discorso legato al Manifesto di Ventotene.

Si tratta, senza dubbio, di un interessante documento storico, sicuramente da leggere, ma nulla di più. Le considerazioni presenti in questo documento sono, ormai, superate da moltissimo tempo e, contrariamente da quanto ritenuto da Repubblica, se il Manifesto di Ventotene oggi avesse ancora un significato – cosa che non ha – non farebbe altro che determinare il collasso definitivo dell’Europa.

Giovanni Terrano, 20 marzo 2025

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