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Manovra: chi vince, chi perde

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Cerchiamo di guardare la manovra finanziaria sotto una prospettiva un po’ diversa. Essa consiste in 37 miliardi di euro, a cui si devono sottrarre almeno 15 (12 per la sola Iva e 3 per spese obbligatorie) eredità derivanti dai passati governi. La prospettiva che ci interessa è dunque quella di capire a chi sono destinati i rimanenti 22 miliardi. Diciamo subito che per reddito di cittadinanza e superamento legge Fornero si impiegano almeno 17 miliardi. Gran parte della manovra è dedicata dunque a indigenti senza lavoro e a lavoratori che non vedono l’ora di uscire dal mercato.
Quanto va a coloro che lavorano o che hanno un’impresa? Vediamolo per diverse figure.

Lavoratore dipendente

Non becca un euro. D’altronde si può dire che il governo Renzi concesse 8 miliardi di euro, con i famosi 80 euro o se preferite 960 euro l’anno riservati ai lavoratori dipendenti, anche a tempo determinato o disoccupati, che abbiano un reddito inferiore ai 24.600 euro.

Pensionato

A bocca più asciutta, amara. Non parliamo di quelli cosiddetti d’oro (30mila assegni per Boeri) sopra ai 90mila euro di pensione lorda l’anno che vedranno riproporsi un contributo di solidarietà. Per gli altri è prevista, come fece il governo Letta, il blocco della rivalutazione degli assegni a partire da 1.500 euro. Con il piccolo problema, rispetto agli anni scorsi, che nel prossimo biennio l’inflazione è sì prevista bassa, ma doppia rispetto ad oggi.

Società di persone

Speravano finalmente di essere tassate come le società di capitali e cioè con un’imposta fìssa al 24 per cento (Ires). Grazie alla nuova tassa che si sarebbe dovuta chiamare Iri. Invece la manovra la cancella, risparmia così 2 miliardi di euro, e tasserà, come sempre, i soci della Snc o della società semplice «per trasparenza»: cioè ognuno con la propria aliquota Irpef.

Socio Srl o Spa

Fino al 2018 i soci di queste imprese avevano un beneficio se rendevano più forte il patrimonio della propria azienda: sia gli utili lasciati in società sia nuovi apporti di capitale avevano un trattamento agevolato chiamato Ace, il cui valore, pari a due miliardi l’anno, scompare. Viene meno anche una parte della famosa «Industria 4.0» che prevedeva la possibilità di aumentare il costo degli investimenti e per questa via ridurre l’utile fiscale. Se compravo un tablet per mille euro, per fare un esempio banale, me lo scaricavo in cinque anni, ma come se lo avessi pagato duemila euro. Resta un pezzetto di iperammortamento, muore quello super.

Fermi tutti: la manovra prevede una mini-Ires, una mini imposta al 15 per cento (rispetto al 24%) per le società che investano o che assumano. Spieghiamoci meglio: se nel 2019 l’azienda Alfa farà 100mila euro di investimenti incrementali rispetto al 2018, avrà il benefìcio prò quota. Si tratta dunque di un incentivo fiscale. Ma il governo stesso nelle sue tabelle ci ha detto che questo bonus sarà più che compensato (il saldo per le finanze pubbliche è infatti positivo per circa 200 milioni) dall’abolizione dell’Ace. Tiriamo le somme: srl e spa (sempre che non siano banche o assicurazioni, nel qual caso si beccano una botta ad hoc) avranno meno incentivi degli anni scorsi per duecento milioni, a cui sommare minori detrazioni per ammortamenti: saldo negativo.

Commerciante fino a 50mila euro

Nessun vantaggio, già oggi godeva della fiat tax del 15 per cento.

Professionista fino a 30mila euro

Anche per le tipiche partite Iva dal reddito contenuto, nessun vantaggio economico, poiché già oggi non versavano Iva e Irpef, ma solo una imposta forfettaria del 15 per cento, a cui appunto si è ispirata la manovra del governo.

Commerciante o professionista oltre 65mila euro

Anche per questi contribuenti nessun vantaggio. Anzi, hanno uno svantaggio competitivo. Il tutto ovviamente dovrà essere confermato dal testo finale, ma oggi sembra che il regime della fiat tax (che tra poco vedremo) non prevede il pagamento delllva, che come si sa è per alcuni una partita di giro, ma per altri (tipicamente i privati) no. Facciamo un esempio. Il commercialista Rossi fa una parcella per consulenze fiscali di mille euro più 220 di Iva. Il signor Rossi paga 1.220 euro. Ma se il Signor Rossi si fosse rivolto ad un commercialista con un reddito da 60mila euro e dunque in regime forfettario, avrebbe pagato la consulenza mille euro, e zero Iva. Un bel risparmio. Insomma una cosa è permettere a piccoli, giovani e start up di avere un vantaggio competitivo sul mercato, un’altra creare la barriera del suono ad un livello pari a 65mila euro. Non siamo contrari, ogni soglia crea problemi, ma diciamo solo che potrebbe essere piuttosto distorsiva del mercato.

And the winner is?

I commercianti con un reddito da 50 a 65mila euro e i professionisti con un reddito tra 30 e 65mila euro hanno fatto bingo. Felici per loro. Sono circa mezzo milione di persone. Fino ad oggi c’erano un milione di autonomi con tassa piatta al 15%, da domani saranno 1,5 milioni. Loro vincono su tutto il fronte: bene così. Anzi vorremmo tutti un trattamento simile: semplificazioni, meno procedure e meno tasse. Da non disprezzare. Chi ama la flat tax, non può che compiacersi di questa manovra. Resta, come visto, limitata ad un insieme piuttosto ristretto rispetto alla platea complessiva di imprese, piccole e grandi, esistenti in Italia. La direzione è giusta e dovrebbe essere tracciata.

Questa è la sintesi, che potrebbe subire qualche piccola modifica in corso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ma solo in termini peggiorativi vista la fame di risorse per finanziare reddito e pensioni della manovra da 37 miliardi. Mezzo milione, potenzialmente, di italiani godono della fiat tax, contro 6 milioni che potrebbero avere un ritocco da reddito di cittadinanza e 400mila che potrebbero godere di quota 100. Diteci un po’ voi se vi sembra una manovra fiscale nel complesso amica.

Nicola Porro, “Il Giornale” 18 ottobre 2018