Manovra, governo in lotta con le spese pazze: è poco, ma è già qualcosa

La nuova Legge di bilancio ha il merito di tentare di ridurre il disavanzo entro limiti accettabili

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Giorgetti manovra

Molto sinteticamente vorrei esprimere una breve riflessione sulla manovra finanziaria. In primis concordo con il titolare di questo giornale secondo cui non si tratta affatto di una manovra di stampo socialista, ma neppure di una serie di misure che hanno a che vedere con il liberismo di Javier Milei. In realtà, così come ricordato dallo stesso Nicola Porro, l’elemento più rilevante sul piano generale è il tentativo di ridurre il disavanzo entro limiti accettabili, evitando di proseguire sulla linea folle seguita soprattutto dal governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte.

Si tratta di una scelta obbligata dalla necessità, che spesso nel dibattito politico non viene sottolineata abbastanza, di mantenere la crescita del nostro debito pubblico entro una traiettoria che rassicuri i mercati, ossia la molteplicità di soggetti che ci prestano i quattrini per rifinanziare un fardello che sta per raggiungere i tremila miliardi di euro. Ebbene, onde rendere sostenibile la gestione di questa colossale zavorra, occorre che gli investitori siano certi che il Tesoro italiano sia in grado di pagare i relativi interessi in un tempo indeterminato, adottando una linea di spesa pubblica assolutamente prudenziale, contrariamente a chi ha sfasciato i conti a colpi di redditi di cittadinanza e di pazzeschi bonus edilizi che addirittura regalavano quattrini aggiuntivi a chi ristrutturava i propri immobili coi soldi del contribuente.

Inoltre nella manovra, alias legge di Bilancio, è contenuta una tipica attitudine della nostra politica, ossia quella di mettere ad eventuale copertura di future spese correnti, o di minori entrate attraverso sgravi fiscali, introiti derivanti da misure una tantum. È, in particolare, questo il caso dell’accordo che l’esecutivo Meloni avrebbe raggiunto con le banche e le assicurazioni per ottenere una sorta di 3,5 miliardi di prestito senza – perché di questo si tratta – attraverso un anticipo di balzelli che le stesse aziende avrebbero comunque pagato in futuro.

Tuttavia si tratta di un evidente escamotage da parte del governo, che correttamente ha voluto evitare di introdurre un prelievo retroattivo di stampo bolscevico – che tanto piacerebbe all’opposizione di sinistra – ma che quando le eventuali, citate spese correnti entreranno a regime sarà necessario trovare altre “toppe” per garantirne la copertura. Idem con patate con il controverso concordato preventivo biennale. Anche in questo caso è stata ventilata la possibilità, nel caso di un successo della misura, di utilizzare i maggiori introiti per alleggerire la fiscalità per quei ceti medio-alti attualmente esclusi dalla manovra. Ceti che, occorre sottolineare, subiranno a partire dal 2025, sempre in ossequio della non retroattività delle norme tributarie, una forte decurtazione delle relative detrazioni fiscali. E dal momento che non è detto che in futuro tale concordato produrrà il previsto aumento di gettito, tutti i benefit ad esso collegati dovranno trovare ulteriori fonti di finanziamento.

D’altro canto, in un Paese in cui chi prova a tagliare anche di poco la spesa pubblica rischia di restare politicamente fulminato (sebbene il nostro welfare nel complesso ci costa un occhio della testa, con la spesa previdenziale di gran lunga la più alta d’Europa), di fronte ad un siffatto quadro di finanza pubblica, caratterizzato da una coperta cortissima, credo che più di questo non ci saremmo dovuti ragionevolmente aspettare. In tal senso la distanza che ancora ci separa dall’Argentina di Milei è ancora maggiore di quella pur rilevante caratterizzata dall’Oceano Atlantico.

Claudio Romiti, 19 ottobre 2024

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