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Margareth Thatcher (AAVV)

Ci sono delle piccole perversioni televisive che bisogna comprendere. C’è chi non resiste alla decima ripassata di Die Hard e chi non può perdersi per la centesima volta una prima serata con Pretty woman.

Ecco, chi scrive questa rubrica non può perdersi un libro su Margareth Thatcher. Quello di cui parliamo oggi è per di più prezioso, perché fatto con contributi di gente che l’ha più o meno apprezzata, ma sicuramente l’ha conosciuta bene.

Si chiama, ovviamente, Margaret Thatcher, è a cura dell’ottimo Riccardo Lucarelli ed è edito da Historica. La prefazione, scritta divinamente, è di Paolo Guzzanti. Scrive, nel saggio forse più lungo, Cosimo Magazzino: «Nessun personaggio pubblico del XX secolo ha subito una campagna di denigrazione ideologica paragonabile a quella di cui fu oggetto la Thatcher. Basti pensare che l’Università di Oxford e altre facoltà britanniche hanno assegnato titoli onorifici a Bill Clinton, Robert Mugabe e alla moglie di Ceausescu, ma non alla loro più nota laureata: Margaret Thatcher».

Una vera perla la conclusione di Antonio Martino. Dentro c’è il ricordo personale: «Quando, nel 1994, vincemmo le elezioni, mi mandò le sue congratulazioni via fax. La richiamai per ringraziarla per la sua cortesia. Mi incoraggiò nel solito modo: Dovrete fare per l’Italia ciò che io ho fatto per la Gran Bretagna. Cercai di spiegarle che, in confronto a lei, eravamo svantaggiati.

Le risposi: Lei aveva una Costituzione scritta nei cuori e nelle menti della vostra gente. Noi no. Aveva un potere giudiziario indipendente. Noi no. Aveva una pubblica amministrazione pulita ed efficace. Noi no. Aveva una maggioranza costituita da un partito unico. Noi no. Aveva think tank come l’IEA, che le ha fornito le idee giuste. Noi no. Ma comunque, aggiunsi, abbiamo qualcosa che lei non aveva. Che cosa? – chiese lei – Il suo esempio!».

In poche pagine Martino riesce, da par suo, a spiegarci che cosa abbia rappresentato la Signora di Ferro, ma anche e soprattutto il fallimento delle economie pianificate e dirigiste.

La forza delle idee, scrive Martino, non basta: è necessaria una leadership, la capacità di prevalere e di farsi seguire. Anche se sui principî non si scherza.

Stupenda la sintesi di Martino: la Thatcher era convinta, correttamente ma in modo completamente rivoluzionario per l’epoca, che si dovesse lavorare duramente per ristabilire gli incentivi (a produrre ricchezza, a risparmiare, a spendere) più che a ristabilire l’equità.

Temiamo che questa lezione non sia ancora stata del tutto digerita.

Nicola Porro, Il Giornale 6 agosto 2017

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