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Mascherine e triplo gel: tutti i diktat assurdi per andare al voto

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Il prossimo 12 giugno, giorno in cui milioni di cittadini si recheranno alle urne per i referendum sulla giustizia e per il rinnovo di un migliaio di amministrazioni comunali, si raggiungerà il più odioso paradosso di un impazzimento sanitario senza precedenti. Nell’espressione più importante per la sovranità popolare, quello delle urne, gli italiani che vorranno esprimere il loro voto dovranno sopportare gli assurdi protocolli anti-Covid imposti dal ministro Speranza, con l’avallo di una maggioranza di governo ancora terrorizzata dall’idea che un pur minimo dissenso su tali misure possa creare una perdita di consensi.

Di fatto, mentre attualmente è possibile circolare liberamente in gran parte dei luoghi chiusi senza alcuna restrizione, per poter esercitare il diritto di voto si dovrà sottostare alle umilianti misure fortemente volute dal ministro della Sanità, alias ministro della paura diffusa. Si tratta di un vero e proprio Tso antidemocratico le cui inconfessabili finalità, con un virus quasi scomparso sul piano della malattia grave, sembrano avere ben poco a che fare con la tutela della salute pubblica.

In sintesi, questo il meccanismo infernale previsto da una circolare ad hoc del ministero della Salute: “Sarà obbligatorio presentarsi ai seggi con un dispositivo di protezione (che sia almeno una mascherina chirurgica) e utilizzare i gel messi a disposizione dagli scrutatori per igienizzare le mani.

A terra e sulle pareti, poi, un’apposita segnaletica indicherà i percorsi da seguire e bisognerà mantenere una distanza interpersonale di almeno un metro, evitando assembramenti. Dopo essere entrati nel seggio e prima di ricevere la scheda elettorale ed entrare nella cabina è poi preferibile che l’elettore igienizzi nuovamente le mani. Quindi, qualora sia necessario per il suo riconoscimento, deve mettersi a una distanza di almeno un metro da scrutatori, presidente e segretario di seggio e abbassare la mascherina. Dopo aver votato, l’elettore inserisce da solo le schede nelle rispettive urne. Sono quindi previste diverse pulizie di seggi e locali utilizzati, mentre scrutatori e presidenti devono sostituire la mascherina ogni 4-6 ore o comunque ogni volta che il dispositivo è inumidito o rende difficoltosa la respirazione.”

Dunque, a circa due anni e mezzo dall’arrivo del virus cinese (ricordo che il decano dei virologi europei, Giorgio Palù, ha più volte ricordato che a suo dire nessuna pandemia di tale portata a mai durata oltre i due anni), l’Italietta del regime sanitario infinito decide di farci andare alle urne con un protocollo anti-Covid da far invidia agli stessi cinesi, impedendo di votare a chiunque rifiuti di indossare l’abominevole mascherina insieme al resto delle inqualificabili coercizioni predisposte.

In realtà, come mi trovo a ripetere fino alla nausea, anche in questo caso si tratta di uno spudorato tentativo di manipolazione di massa, mirante a modificare in modo subdolo gli equilibri politici attraverso un uso vergognoso della paura virale. Paura virale che le citate, demenziali misure servono essenzialmente a rinfocolare anche quando ci troviamo nella solitudine della cabina elettorale. È come se una sorta di grande fratello sanitario, perfettamente incarnato dall’evanescente Speranza, ci ricordasse che il virus è vivo ma che il regime sanitario lotta insieme a noi per eliminarlo del tutto dalla nostra esistenza.

Se poi agli artefici di questa colossale operazione di salvezza nazionale basata essenzialmente su misure magiche, ovvero sul nulla, dovesse arrivare dagli elettori riconoscenti qualche voto in più, tanto di guadagnato. Questi sono i tempi e questi sono gli uomini, ahinoi.

Claudio Romiti, 7 giugno 2022