Esteri

Masha Amini, femministe nostrane quasi mute sulla violenza islamica

Arrestata e picchiata dalla polizia perché portava il velo in modo “inappropriato”

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Tutto è iniziato il 13 settembre scorso quando la ventiduenne Mahsa Amini, residente a Saqqez, nella provincia del Kurdistan (Iran occidentale) e in vacanza a Teheran, è stata arrestata dalla polizia religiosa a causa della mancata osservanza della legge sull’obbligo del velo, in vigore dal 1981 modificata nel 1983 per tutte le donne nel Paese, sia straniere, che residenti. Per ironia della sorte, al momento dell’arresto Mahsa Amini indossava il velo, ma, a quanto pare, un paio di ciocche di capelli erano a vista. Anche nell’assurdità di questa legge che ai nostri occhi non ha alcun senso, sarebbe bastato fermarla, ammonirla e obbligarla a sistemare quel maledetto foulard che nell’Iran del 2022 è diventato una sorta di cintura di castità.

Prima l’arresto, poi le violenze

Mahsa Amini, è bene ripetere il suo nome in modo che resti impresso nelle nostre memorie il più a lungo possibile, era stata arrestata dalla polizia morale all’ingresso dell’autostrada Haqqani mentre era in compagnia del fratello Kiaresh, e durante il trasporto alla stazione della polizia le era stato detto che sarebbe stata condotta ad un centro di detenzione per essere poi sottoposta a un “breve corso su come indossare l’hijab“. Finite le spiegazioni su come sparire agli occhi del mondo coprendosi con quello straccio, sarebbe stata rilasciata. Il tutto non sarebbe durato più di un’ora.

Dopo essere stata arrestata, la ragazza è stata veramente condotta presso una stazione di polizia, ma anziché il corso ha trovato chi l’ha selvaggiamente picchiata. Le percosse sono state di una violenza tale che dopo tre giorni di coma, il 16 settembre, è deceduta. Questi sono i fatti e, a meno di smentite clamorose, non sono in discussione.

Mahsa Amini, come già detto, era residente a Saqqez, città dove il novantanove per cento della popolazione parla il Curdo Sorani e solo una piccolissima percentuale, l’uno per cento, si esprime in Farsi. Questo vivere in un mondo lontano dalla capitale e probabilmente in una mentalità diversa e più libera rispetto a quella che si vive attorno ai centri del potere, avrà forse portato la ragazza a credere che anche nelle strade di Teheran si potesse indossare quel maledetto velo con un minimo di nonchalance, e che mostrare un lumicino di femminilità, due ciocche di capelli, non fosse motivo sufficiente per essere prima arrestata e poi giustiziata.

Lividi su testa e gambe

Mahsa Amini è morta all’ospedale Kasra di Teheran in seguito alle ferite riportate. Nonostante le dichiarazioni della polizia affermassero che il decesso era dovuto a un infarto, durante il ricovero Kiaresh, il fratello che era con lei al momento dell’arresto, ha notato dei lividi sulla testa e sulle gambe della sorella. Un certo numero di medici che l’hanno visitata, ma che per ovvi motivi sono rimasti nell’anonimato, ha ritenuto che Mahsa avesse subito una lesione cerebrale, sanguinamento dalle orecchie, lividi sotto gli occhi e fratture ossee con emorragia ed edema cerebrale. Ferite riconducibili a un brutale pestaggio. Il giorno del suo decesso la clinica dove Mahsa Amini era stata ricoverata, aveva diffuso un post sulla sua pagina Instagram dove si affermava che al momento del ricovero la giovane era già cerebralmente morta. Post che in seguito è stato cancellato per paura di conseguenze con il potere dittatoriale.

Iran, i numeri della violenza sulle donne

Dopo la sua morte Mahsa Amini è diventata il nuovo simbolo della violenza contro le donne sotto la Repubblica islamica dell’Iran, nuovo perché ce ne sono state molte altre prima di lei e altre, purtroppo, ce ne saranno finché quel regime teocratico dittatoriale guidato da gente che dovrebbe comparire davanti ai tribunali per crimini contro l’umanità, non sarà abbattuto. E non è certo la dichiarazione del presidente Ebrahim Raisi che ha chiesto al ministro dell’Interno Ahmad Vahidi di aprire un’indagine sull’accaduto che può restituire un minimo di credibilità a una dittatura che fin dal suo insediamento ha costruito le fondamenta sul sangue del suo stesso popolo.

Con la circolazione delle notizie riguardanti la tragica fine di Mahsa Amini, è montata la rabbia nella popolazione e uomini e donne di tutte le età sono scesi in strada a manifestare contro il governo e contro il regime. Gli scontri con la polizia si sono preso trasformati in guerriglia urbana, a testimoniare le violenze ci sono alcuni documenti e filmati diffusi sui social network dove si vedono agenti di polizia sparare a fuoco vivo contro i manifestanti. Non meno di cinquanta persone sono state uccise da quando le proteste per l’hijab sono iniziate, sia a Teheran sia in altre importanti città. Dato riferito dall’IHR, organizzazione per i diritti umani.

All’ombra dei resoconti delle vittime delle proteste, il segretario dell’Onu Antonio Guterres ha invitato le autorità del Paese ad astenersi dall’uso eccessivo della forza contro i manifestanti chiedendo al regime iraniano di rispettare la libertà di espressione e il diritto a manifestare. Considerando che la richiesta è stata quasi sussurrata, che non c’è stata nessuna discussione all’Onu o in altre sedi internazionali, Mahsa Amini è solo l’ultimo tragico capitolo della tragedia nella quale vive da troppo tempo la popolazione iraniana, e considerando che la quasi totalità dei governi occidentali è ancora latitante, la reazione dell’occidente democratico è indubbiamente al di sotto del minimo sindacale.

Silenzio femminista

Ma se per i governi c’è la giustificazione parziale della Realpolitik che non vuole indispettire Teheran perché in ballo ci sono altre e più importanti grane da risolvere, nucleare in testa, per i movimenti di opinione, in particolare le organizzazioni femministe, non ci sono giustificazioni di nessun tipo perché anche questa volta, come in passato, sono rimaste latitanti mentre una ragazza di ventidue anni veniva massacrata per aver indossato un foulard in maniera sbagliata.

Riempire le strade di Milano, Parigi, Berlino, Madrid e Londra, e perché no, anche di New York e Washington, di donne truccate alla moda e con i capelli al vento non avrebbe cambiato il destino della povera Mahsa Amini, ma avrebbe dato un segnale di incoraggiamento a tutte quelle donne iraniane, anzi persiane, che in questo momento stanno facendo filtrare sui social filmati dove si vedono giovani volti con tanta voglia di vivere che invece di sorridere alla vita si tagliano i capelli in segno di protesta.

Se le donne occidentali, quelle fortunate, avessero riempitole le strade urlando la loro rabbia e sorellanza, qualcosa sarebbe sicuramente arrivato anche a Teheran, Mashhad, Esfahan, Tabriz, Karaj, Shiraz, Ahvaz, Qom e, forse anche a Saqqez dove c’è una famiglia che piange la morte di una figlia per colpa di un regime infame e di uno stupido foulard.

Michael Sfaradi, 25 settembre 2022