Cronaca

Massacro senza movente. Cosa ci insegna l’orrore di Paderno Dugnano

Il 17enne ha ucciso padre, madre e fratellino. Oggi l’udienza di convalida dall’arresto. La confessione resa tra le lacrime

Strage di Paderno

Una tragedia enorme. Immane. Inspiegabile. Nel piccolo e solitamente tranquillo comune di Paderno Dugnano, la cronaca si è tragicamente tinta di rosso con un episodio che ha lasciato la comunità e l’opinione pubblica sotto shock: un adolescente di 17 anni ha confessato di aver ucciso il proprio padre Fabio, la madre Daniela e il fratello minore Lorenzo. La notizia ha suscitato non solo sconcerto ma anche una serie di interrogativi riguardanti la premeditazione dell’atto e le possibili cause di una violenza così estrema.

L’omicidio premeditato

Sabrina Ditaranto, procuratrice dei minori a Milano, ha riferito che il ragazzo aveva premeditato il triplice omicidio nei giorni antecedenti, ammettendo spontaneamente la sua colpevolezza durante l’interrogatorio e fornendo dettagli sulla dinamica degli eventi. Ha descritto come ogni vittima sia stata colpita ripetutamente al collo con un coltello e come il fratello minore sia stato ucciso nel sonno, mentre i genitori hanno avuto la sfortuna di svegliarsi in quella che può essere considerata una scena da incubo.

La confessione del killer

“Quando siamo arrivati all’interrogatorio – ha detto il magistrato – ha iniziato con la sua confessione. Non c’è stata nessuna domanda aggressiva per fare emergere la verità. Avevamo la sensazione che cominciasse a rendersi conto, a riemergere alla realtà di quanto commesso. Ha immediatamente ritrattato la versione riferita, professandosi autore degli omicidi e dettagliando la dinamica. Piangeva. Sa che non torna indietro, ci è sembrato molto lucido in questo, ha capito che ciò che ha fatto è irreversibile”. In un primo momento, infatti, il giovane aveva riversato sul padre le colpe del duplice omicidio, sostenendo poi di averlo colpito a morte per autodifesa. “Con noi, quando siamo arrivati alla villetta – spiega il tenente Luigi Ruzza, comandante della stazione dei carabinieri – all’inizio ha avuto un tono pacato, sereno e sempre lucido. Era seduto su un muretto, poi lo abbiamo seguito all’interno. Manifestava qualche emozione, ha versato qualche lacrima, ma non è scoppiato a piangere. Sembrava avesse paura del gesto che aveva compiuto, poi però ricominciava a raccontare gli stessi dettagli riferiti al 112″.

Agli inquirenti, Riccardo – questo il suo nome – avrebbe detto: “Non c’è un vero motivo per cui l’ho ucciso. Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio”. E ancora: “Non è successo niente di particolare sabato sera. Ma ci pensavo da un po’, era una cosa che covavo”. Di notte si è alzato, è andato a prendere un coltello, ha ammazzato prima il fratellino e poi i genitori. “Non so davvero come spiegarlo. Mi sento solo anche in mezzo agli altri. Non avevo un vero dialogo con nessuno. Era come se nessuno mi comprendesse”.

Chi era l’assassino?

Analizzando la vita del giovane autore del triplice omicidio, non sembrano esserci stati segnali premonitori evidenti. Descritto come un ragazzo modello a scuola e nello sport, e ben inserito nel tessuto familiare e sociale, l’unico episodio di tensione registrato riguarda una reazione dei genitori a un insufficienza in matematica, gestita senza particolari drammi. Anche la partecipazione a una festa per il compleanno del padre non aveva lasciato presagire il tragico epilogo. “Dal punto di vista giudiziario – ha spiegato Ditaranto – non abbiamo un movente tecnicamente inteso. Dal punto di vista sociologico sono aperte le ipotesi e le indagini. La sera prima era stato festeggiare il compleanno del papà. Questo, secondo la mia esperienza, potrebbe avere acuito il disagio, i festeggiamenti sono sempre momenti particolari per chi sta soffrendo. Lui ha parlato di un suo malessere. Ha parlato di un senso di estraneità. Ma non rispetto alla famiglia, rispetto al mondo”.

Cosa ci insegna questo omidicido

Del ragazzo emerge un quadro di personalità incline all’introspezione, come suggerito dalla scelta di non pubblicare post sui suoi profili social e dalla preferenza per brani musicali italiani di tono malinconico. Sebbene questi elementi non siano indicatori diretti di un profondo disagio, suggeriscono una propensione alla solitudine emotiva. Dal punto di vista psicologico, il giovane intraprenderà un percorso di recupero presso il Centro di prima accoglienza del carcere minorile Beccaria. Gli specialisti cercheranno di comprendere la complessità della sua personalità e le circostanze che hanno condotto a un gesto di tale gravità.

Se vogliamo, si possono trarre tante conclusioni da questo fatto di cronaca. Si parlerà per giorni della condizione psicologica dei ragazzi. Di come aiutarli. Di come prevenire casi simili e quali segnali cogliere per evitare il disastro. La verità, forse, è che non lo sapremo mai. E questa è una prima riflessione. La seconda è invece legata a quanto successo qualche giorno fa a Bergamo dove Moussa Sangare ha ucciso Sharon Verzeni senza un perché. I due casi, benché lontani nel tempo e nelle dinamiche, in parte di assomigliano: vittime innocenti uccise da killer giovanissimi che non sanno spiegare neppure perché lo abbiano fatto. Ecco perché affannarsi nei giorni scorsi in colti dibattiti e polemiche per dirimere la questione sulla nazionalità di Moussa è stato fiato sprecato: può accadere ovunque, a qualsiasi latitudine e con qualsiasi cognome. Semmai bisognerebbe indignarsi per il fatto che, secondo quanto riferisce la sorella del killer, il giovane aveva minacciato anche lei e insieme alla madre lo avevano denunciato per ben tre volte alle autorità. Che però non hanno fatto nulla. Il terzo insegnamento riguarda invece l’esistenza stessa del male: lo Stato deve cercare di garantire la sicurezza al 100%, ma non sempre è possibile prevedere tutto. A volte l’imponderabile vince.