Massini porta Hitler a teatro. Ma è di sinistra e tutti zitti

L’autore progressista mette in scena il Mein Kampf. Quando lo pubblicò ilGiornale, pioggia di critiche. Adesso, invece…

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Stefano Massini è autore “progressista e di sinistra” dal curriculum regolamentare: collaborazioni con Repubblica, Rai3, La7, i programmi illuminati, la Kultura inconfondibile, la faccia inconfondibile, e Repubblica come è giusto lo coccola siccome porta in teatro, anzi nel caso in questione “Teatro”, pronunciato col sussiego che si richiede, porta in scena Hitler. Hitler? Ma sì, dicono che la destra abbia una attrazione fatale per i dittatori, i mostri, ma togligli i suoi alla sinistra! Parlare di Hitler per non dire di altri: la volonterosa intervista repubblicana è un concentrato esemplare di spocchia, di approccio didascalico, le continue citazioni di Freud per dummies, e di approccio didattico del genere “vi insegno io chi era così non sbaglierete più”.

Non sbagliare chi? Voi popolaccio infame, quarto stato demmerda, plebe da condurre, da educare, da portare in Teatro disciplinati, in fila per tre, con le catene del rimorso. Non sbagliare cosa? Che domande, a votare, a pensare. Leggetevela, l’intervista a soffietto, leggetela se ci riuscite: trasuda arroganza da ogni riga, battuta, spazio e va bene, a questo siamo abituati, con passaggi ridondanti quali “trasformare l’orrore in logos”, e va bene, questi non hanno nessun senso, mai, non della misura, non del ridicolo. Si pontifica di educazione, si scomoda, che fantasia, Primo Levi pret a porter, ma tenendosi a prudenziale distanza da certe implicazioni, che pure sorgerebbero immediate: incarnando Hitler a Teatro, ci si potrebbe magari ricordare del suo legame col gran Muftì di Gerusalemme, dell’approccio, oh, così deliziosamente antisemita, dell’imbianchino austriaco insieme ai pard islamici, la suprema autorità islamica, per debellare insieme il bubbone semitico, via tutti gli ebrei dal mappamondo.

Gran muftì del quale i vari Sinwar e Nasrallah compianti dai Cheffo Rubio sono gli attuali degnissimi discendenti. Ma è difficile che nella sacra rappresentazione di un autore progressista e di sinistra certi corsi e ricorsi storici trovino posto; è più automatico e conveniente usare la faccenda per tirarci dentro, che so, un Trump (ma sì, leggetela l’intervista): per dire e non dire degli attuali usurpatori, la Meloni, ça va sans dire, non scomodati, magari, ma evocati sì, certo, ovvio, chiaro. Il gioco è sempre lo stesso, e non prendiamoci in giro o meglio non lasciamoci prendere per il culo: a questi di rispolverare il mostruoso imbianchino non importa se non per alludere, significare, implicare: la perenne emergenza democratica grazie alla quale fanno curriculum, vanno a Rai3, a Teatro, nella fattispecie il Piccolo di Milano, e magari in politica, all’Europarlamento che è il sogno definitivo di tutti questi e dove con la scusa dell’emergenza fascista spediscono il peggio del peggio, al netto delle condanne definitive.

E va bene, va bene così, tutto questo lo sappiamo, ma manca una ricorrenza: io mi ricordo, sì io mi ricordo quando, per dire, il Giornale otto anni fa pubblicava in una collana anche il Mein Kampf “perché non succeda mai più”: l’intento dichiarato è lo stesso, la reazione capovolta: fascisti, nostalgici, maiali diceva l’intellighenzia un po’ idiota, molto idiota di sinistra che oggi si sdilinquisce per la didattica teatrale delle sue coscienze, dei suoi Massini o Scurati o Saviano. Stesso libro, stesso autore, stesso proposito, ma da antifà a fa senza se e senza ma ci corre niente, nel solito riflesso automatico del doppiopesismo strategico, dell’ipocrisia virtuosa. Va bene, va bene così, ma non va bene niente. “Crede che il successo recente degli ultranazionalisti di Herbert Kickl in Austria e dell’AfD in Germania si giustifichi con un venire meno della memoria storica?”. «La memoria di quello che è accaduto si è talmente affievolita da rendere possibile voti a doppia cifra. D’altra parte nel Mein Kampf possiamo rintracciare la genesi del populismo attuale: nasce in quel momento storico l’abitudine di parlare alla pancia delle persone. Hitler crea con le masse un rapporto di corteggiamento seduttivo, erotico, completamente nuovo».

Se poi avete voglia di sorbirvi due ore di didattica da uno che dice di queste coglionate senza battere ciglio, liberissimi. «Abbiamo derubricato la politica a rodeo. I politici seguono le regole dei talent e dei reality show. Vince chi è più simpatico, chi dimostra più empatia prende voti. Il montepremi è la guida del Paese. Senza tener conto che fin dall’Atene classica lo Stato è tenuto in piedi dal senso critico, dal dibattito, dal logos».

Eccola, la sinistra: capace di scoprire l’acqua calda, le intuizioni elementari, nel senso della scuola, però ficcandoci dentro “il logos”. Bastava dire, caro Massini: a noi non ci votano più perché sono come Hitler, non perché siamo noi odiosi e stiamo sui coglioni a tutti e. A proposito. Ma il Piccolo di Milano non è feudo di questi fascisti, quei nazisti dei La Russa? E ci porta Hitler? Come si trova il compagno Massini? Non è che per caso pure lui segue le regole dei reality? Del montepremi? Non è che oltre al logos funziona, a proposito di citazioni per ragazzi, la sempiterna “pecunia non olet” di Vespasiano?

Max Del Papa, 4 ottobre 2024

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