Sport

Mattarella alla finale di volley, mai visti media così in ginocchio

L’ovazione di pubblico e telecronista al PalaEur di Roma per il Capo dello Stato sugli spalti per tifare la Nazionale di pallavolo

Si sa com’è lo sport, non sempre si può perdere, tranne l’Italia di Mancini, e non sempre si può vincere, come l’Italia di De Giorgi, e come sarebbe andata a finire ieri sera è stato chiaro letteralmente in prima battuta: polacchi carichi come belve, basta con gli azzurri bestia nera che li battono sempre e chi se ne importa se il palazzo dell’Eur era già pronto all’apoteosi, sotto gli occhi del presidente Mattarella. Ecco, qui dev’essere davvero qualcosa di indicibile, di terribile, da Moloc fenicio, da terzo segreto di Fatima, qualcosa di più inaccessibile e blindato di Ustica, della P2 oltre gli elenchi scoperti, delle ultime ore di Hitler nel bunker, di Cagliostro, dei riti esoterici, dei culti sciamanici.

Ovunque capiti, passi, si manifesti, epifanisca il Presidente Mattarella, a Sanremo come alla Scala, alla finale sportiva o in una scuola elementare, alla sfilata militare, alla parata, la ricorrenza, la processione, è sempre secondo avvento, giorno perfetto, fine dei tempi, risveglio dei morti, anno zero, dies irae, principio dell’eterno. Il Presidente Mattarella. C’è il Presidente Mattarella. Ecco guardate il Presidente Mattarella. Sotto gli occhi del Presidente Mattarella. La telecronaca della finale di volley era incredibile, purissima eau de Serge. Non i balzi e gli sbuffi dei gigantoni azzurri a reggere come potevano sotto la burrasca perfetta degli avversari, con quel cubano che solo a veder lui veniva pensato va beh, stasera non è sera, andiamocene tutti negli spogliatoi, una doccia e a casa; ma la rassegna minuto per minuto dei sorrisi, le strette di mano, gli spostamenti impercettibili sulla poltrona, il balenar di sguardi da decifrare, la allocazione delle risorse umane attorno, le genuflessioni, il servilismo laccato e leccato che avvolgeva il Presidente Mattarella.

Che non è più Presidente di qualcosa, degli italiani, dello stato, ma è Presidente di sé, in sé, per sé e fuori di sé, una griffe, un teorema, una parabola, un’idea hegeliana, definitiva, che si giustifica in se stessa portandone coscienza. Mai a memoria di uomo e di telespettatore si era ascoltato un simile peana, neanche ai gloriosi tempi del Mundial spagnolo col Misirizzi Pertini che faceva l’ultrà in faccia a cancellieri, dignitari, reali, parigrado, carbonari, masoni. I due speaker hanno sbiadito la leggendaria piccoletta nordcoreana, aspetta Ca e perfino irriguardosa al confronto, non era più un evento sportivo, una finale sportiva, una partita decisiva di una rappresentativa italiana nel cuore della capitale italiana, era, cornice, pretesto, occasione per il manifestarsi del Presidente Mattarella.

Anche nei giorni d’avvicinamento all’evento, non v’era testata, resoconto, servizio che non specificasse: sotto gli occhi del Presidente Mattarella ci sarà la finale fra Italia e Polonia alla presenza del Presidente Mattarella. Una immanenza circolare. Quanto è immenso, sovrumano il potere di questo che non è più un uomo, non più storico democristiano in verità non di prima fascia, ma spirito, essenza, transustanziazione, Trinità del potere in sé e oltre sé? Cosa può fare davvero questa concretissima astrazione, questo manga ormai, chi controlla, dirige, decide, quando e quanto giudica e manda? Cosa presuppone tanta adorazione? Lo celebrano, lo esaltano in nome dei poteri trans e sovranazionali, mistici, esoterici o rotondamente, sfericamente italiani, o precipuamente come il-Sergio-in-sè?

Eppure qualcosa c’è. Non si spiega con le categorie della ragione e neanche del potere, della dipendenza, dell’opportunismo un tale culto; non trova presupposti eroici, martirologici, è, siamo d’accordo, il potere che celebra se stesso, ma con quale profondità e estensione a questo punto verrebbe dato di chiederselo, con una punta d’angoscia: dai tempi di Cavour, di Carlo V, di Cesare, di Ciro mai, mai, mai una tale genuflessione mediatica per un Presidente in un sistema costituzionale di parlamentarismo. O si vuole sabotare l’ennesima velleità meloniana, come di tutti quelli che l’hanno preceduta, e che la seguiranno, e che l’ineffabile deep state non farà mai passare se non a sua esclusiva misura sartoriale e coi tempi di una digestione lunghissima, estenuante?

La ragione, almeno fino a poco tempo fa, all’avvento del woke, del politically correct e di Elly Schlein, rifiutava l’inspiegabile ricercando uno spettro di ricostruzione dal razionale, che “era reale”, al verosimile, al fantastico, al complottistico: qui siamo oltre il mitico e il mistico, oltre il distopico e il Grande Fratello, siamo alla pubblicità filosofica, come di quei prodotti ontologici dei quali si dice semplicemente: “è”. A lasciare inquieti è cosa c’è sotto e sopra quell'”è”. Uno legge i resoconti della debacle italiana contro la Polonia, e tutto quello che scopre è che a un certo punto Fefè De Giorgi manda in campo l’ancora acciaccato Russo, “che stringe i denti, lui siciliano, per giocare davanti al Presidente Mattarella”.

Max Del Papa, 17 settembre 2023

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