Pubblichiamo una riflessione che il filosofo Marco Bassani ha affidato a Facebook
L’alta borghesia milanese ha fomentato la cacciata degli ottimi amministratori austriaci nel 1848. Nell’estate nella pianura lombardo-veneta i contadini accolgono gli austriaci al grido di “arrivano i nostri”. A Milano il popolo mormora “sono stati i signori”. Le classi agiate di Milano si sono innamorate di un sabaudo, ben bizzarro e impraticabile progetto unificazionista e centralizzatore.
Successivamente la borghesia ha tirato un bel sospiro di sollievo quando nel maggio del 1898 Fiorenzo Bava Beccaria massacrava la “folla che pan domandava”. Dopo un paio di decenni guardava a San Sepolcro il nascente mussolinismo con occhio a for poco benevolo. Ben più benevolmente la borghesia della città più importante delle aree italiche ha guardato al regime e in parte anche a Salò. Salvo dichiararsi antifascista e partigiana dopo il crollo del fascismo.
Nel Dopoguerra si è divisa fra filosovietici e comunisti non stalinisti, per poi fare l’occhiolino alla più violenta sinistra extraparlamentare. Nel 1976 l’attacco alla prima della Scala dei circoli del proletariato giovanile fu solo una guerricciola di famiglia. Negli anni Ottanta la stessa borghesia ha appoggiato il sacco socialista di Milano, per poi saltare sul carro degli epuratori dipietristi una volta archiviata la prima partitocrazia. Si è un po’ divisa su Silvione, ma il personaggio era talmente sfuggente che era difficile pronunciarsi. Alcuni tenevano al pool di Milano, altri parteggiavano per Silvio: d’altra parte è triste riconoscerlo, ma qui non tutti tifano Milan.
Nell’ultimo decennio la borghesia milanese è frastornata, ma come la Confindustria si schiera “sempre dalla parte del governo”, purché non sia eletto. I quattro minuti di applausi al Presidente della Repubblica di ieri sono in piena sintonia con tutto ciò che storicamente rappresenta la borghesia milanese: la propria assoluta irrilevanza e subalternità.