Mattarella è il simbolo del Palazzo che si blinda

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Serva Italia di dolore ostello, ma il servilismo sulla persistenza del Mattarella sta travolgendo ogni argine, ogni record, roba mai vista nella pur mortificante storia della italica informazione. Si distingue il Tg1 di Monica Maggioni, che gronda, che trasuda lirismo: Mattarella come un messia, un martire, uno costretto alla politica dopo l’omicidio del fratello Piersanti, 42 anni fa: come a dire un risarcimento dallo stato che uccide e che premia. Neanche si accorgono del pessimo gusto della loro saliva. In realtà, tanto orgasmo nasconde, a malapena, una preoccupazione: Mattarella è mantenuto dal Palazzo per il Palazzo, è il simbolo del regime che si blinda, mentre fuori scoppia se non la rivoluzione, almeno la involuzione. Il vecchio Capo dello Stato non essendo affatto percepito come figura rappresentativa di tutti, tanto meno rassicurante, di garanzia.

Dopo la liturgia di sabato, perfetta, in prime time, la consacrazione alle 20 precise, così da lasciare spazio al telegiornale, a ridosso del Festival di Sanremo, altra farsa, altro museo delle cere che per una settimana terrà distratti gli italiani, a migliaia, se non a milioni si sono sentiti sconfortati, depressi: allora è proprio finito tutto, allora non ne usciremo più. Sanno, il Paese reale sa, sente che Mattarella è indifferente alle sue sorti; che ha una concezione istituzionale del potere; che è gelido, distante dal popolo, più un garante della nomenklatura che un populista alla Pertini. Di conseguenza, il Paese si aspetta di continuare nello stato concentrazionario affidato ai protégee di Mattarella, gli Speranza, le Lamorgese, gente improponibile, che invece resta, anche lei, dove sta. Il tweet del ministro sghembo della salute quanto a questo era definitivo: una gioia, una felicità.

Draghi azzoppato

Ma tirare avanti con il regime sempre più in odore di dittatura sarà complicato. Da questo reality, o romanzo più criminale che Quirinale, tutti escono massacrati a cominciare da Draghi: in meno di un anno ha definitivamente compromesso la sua aura di infallibile, di supercompetente. Ha mentito, ha sbagliato, ha arrancato; voleva, pretendeva il Colle come una investitura imperiale, ha ricevuto una facciata terrificante sotto gli occhi del mondo: i complottisti duri e puri, che vendono il Grande Reset come soluzione di ogni accadimento, sono serviti: un migliaio di parlamentari di livello infimo, cacciatori di dote, nullafacenti, qualcuno farabutto, sono bastati a disinnescare questo onnipotente quanto misterioso Grande Reset.

Draghi avrà voglia di restare a Palazzo Chigi come un’anatra zoppa? A spalare le macerie da lui stesso provocate? A farsi di continuo punzecchiare dai partiti, ringalluzziti, come quando si punge una torta in forno per vedere se è cotta? Diciamola come va detta, senza tanti fiori di campo: se fino a ieri Draghi poteva contare sull’impunità garantita dal PD, da domani dovrà aspettarsi di tutto, campagne negative, dossier, siluri dalla magistratura. I rumors riferiscono di una voglia matta di Cincinnato, magari di ritorno ai falansteri europei.

Leader azzerati

I cosiddetti leader sono azzerati: Salvini ha mostrato preoccupanti sintomi di lucidità mentale, la Meloni non ha toccato palla (voleva Draghi, adesso sostiene di essere l’unica coerente), Forza Italia non esiste da tempo, Conte conferma la sua statura di gagà azzimato, per Letta potrebbe funzionare egregiamente la battuta di Churchill su un suo rivale: “Un taxi si è fermato davanti a Downing Street, 10, non ne è uscito nessuno: era Attlee”. Grillo ha le sue pendenze da sbrigare, il resto del presepio è tragico, ci sono i comunisti duri e puri come questo Fornaro che invocano Draghi, il banchiere, l’emblema della finanza iperliberista. Le istituzioni escono da questo reality squagliate, in fama di irresponsabili, la vergogna di cui si sono coperti non sbiadirà facilmente. Con quale coraggio si presenteranno di nuovo al giudizio degli amministrati, è meglio non chiedere: reciteranno, come sempre, la parte dei salvatori della patria, degli “io l’avevo detto”. Ma la patria non ci crederà oltre, e, stante il tramonto lugubre di Draghi, la figura di riferimento diventa Mattarella: in lui, nella sua eternità, si coagula il potere e la difesa del potere. La cosiddetta patria intuisce anche che Mattarella la rielezione la voleva e come, l’ha calcolata da marpione democristiano, contando sulla disperazione di un Parlamento di nullità.

Siamo, come dice Nicola Porro, alla democrazia del bonifico. Ma una democrazia fatiscente. Di conseguenza, tutto ciò che succederà d’ora in avanti verrà imputato a lui, lo stato concentrazionario e sciagurato avrà il suo volto, come è giusto e fatale che sia.

Lui, il Presidente che si è voltato dall’altra parte sugli scandali della magistratura, che presiede. Che ha di fatto sabotato le elezioni ad usque tandem. Che ha definito i novax, già utilizzati come capro espiatorio per la malagestione del governo, come una genia di cittadini di seconda scelta, non degni di tante attenzioni, pericolosi. Che ha reso intoccabili personaggi inammissibili come Speranza e Lamorgese. Che ha detto “vi lascio un Paese unito”, mentre non è mai stato più diviso, più incarognito e, oggi, all’atto della sua riconferma, più depresso. E i depressi sono capaci di tutto.

Max Del Papa, 31 gennaio 2022

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