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Mattarella e l’intollerabile scusa per non mandarci a votare

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Da quando è espressione della sinistra, il capo dello Stato è una figura incriticabile. Ci assumiamo il rischio di dissacrare il totem, perché, stavolta, Sergio Mattarella ha deciso di raschiare il fondo del barile.

Passino i tentativi disperati di rimettere in piedi una maggioranza sconquassata. Passi la convinzione che, in questo momento, al Paese serva un governo “di alto profilo”, con un ampio sostegno parlamentare, guidato da una personalità autorevole e stimata come Mario Draghi. Anche se pure questo non è un tentativo privo di rischi, visto che il Pd ha mal di pancia e il M5s ha già annunciato che non accorderà la fiducia dall’ex capo della Bce. Ma in fondo, da quando è finita la vituperata prima Repubblica, la politica italiana ha dimostrato di essere incapace di affrontare le fasi più critiche. Passi persino la convinzione, che probabilmente discende anche dagli umori delle cancellerie europee, che un centrodestra a trazione sovranista non possa essere lasciato governare – e, soprattutto, che non gli si possa concedere di dare le carte sulla prossima nomina al Quirinale. Ma che il Colle usi il Covid per giustificare il rifiuto di riportare i cittadini alle urne, be’, è come minimo irrispettoso nei confronti della nostra intelligenza.

Elezioni=contagi? Falso

Secondo il capo dello Stato, “in altri Paesi in cui si è votato – obbligatoriamente, perché erano scadute le legislature dei Parlamenti o i mandati dei presidenti – si è verificato un grave aumento dei contagi”. Una doppia bugia. Primo, perché la frase di Mattarella dà l’impressione che le nazioni che sono andate alle urne lo abbiano fatto controvoglia, costrette dalla legge ma sconsigliate dalla ragione. E di questo non c’è alcuna evidenza. Secondo, perché non esiste alcuna prova, se non qualche sortita mediatica del televirologo Massimo Galli, del fatto che, quando si vota, il virus riprende la sua corsa. Basta guardare le curve epidemiologiche di alcuni Paesi in cui si è votato di recente. La Polonia, come molti altri Stati europei, è stata investita dalla seconda ondata a partire dalla seconda decade di ottobre, mentre le presidenziali si erano svolte il 28 giugno e il 12 luglio. Negli Usa, l’aumento esponenziale delle infezioni era cominciato prima delle elezioni del 3 novembre. Peraltro, i casi erano lievemente calati circa 15 giorni dopo il voto, per poi riprendere a salire dall’inizio di dicembre, in modo del tutto indipendente dalle elezioni. In Portogallo si è votato il 24 gennaio, ma la situazione Covid era già grave. E gli epidemiologi l’hanno attribuita all’allentamento delle restrizioni durante il periodo natalizio.

La giusta dose di rischio

A ciò aggiungiamo una considerazione di principio. Quand’anche fosse dimostrabile che le elezioni costano nuovi contagi, sarebbe ben strano che proprio gli aedi della Repubblica nata dalla Resistenza, quelli che celebrano i sacrifici dei nostri nonni per donarci la libertà e la democrazia, ora considerino inaccettabile che ci si assuma, sempre nel nome di libertà e democrazia, il rischio di contrarre una malattia. Una malattia che, nel nostro Paese, ha il 3,5% di mortalità. Fu eroico correre il pericolo di farsi ammazzare dai nazifascisti per difendere la patria. Non sarebbe poi così temerario recarsi ai seggi con una mascherina, termoscanner ai cancelli, ingressi contingentanti e magari operazioni di voto diluite su quattro giorni, per centellinare gli afflussi alle urne. Se quello che dice Mattarella è vero, faremmo meglio a dichiarare fallimento: significa (e ne abbiamo avuto il sospetto, in questi mesi) che il nostro Paese è totalmente incapace di organizzare qualunque situazione di convivenza con il virus. Una resa della democrazia al Covid è un fatto talmente grave, da non poter essere liquidato dai panegirici dei quirinalisti per Mattarella.

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