Per il Quirinale “Giuseppi” è uno yogurt scaduto e l’addio è ormai scritto. Non solo per la sua l’incapacità di gestione del Coronavirus, per l’isolamento internazionale e per la crisi economica in cui ha gettato l’Italia, ma semplicemente perché non sa governare. E non è un caso se, parlando per celebrare Telethon, il Presidente della Repubblica non ha riservato neppure una parola al Governo, stigmatizzando, testualmente, “comportamenti senza ragione e senza beneficio, come avviene talvolta anche in questi giorni”.
Seppure il virus ha allontanato ogni possibile finestra elettorale, da mesi, riservatamente, al Colle vengono testati alcuni nomi. Si sussurra che Mattarella potrebbe anche chiedere all’ex avvocato degli italiani per senso dello Stato di fare un passo indietro e diventare così una riserva della Repubblica, visto che dalle cancellerie internazionali non arrivano più segnali di gradimento e anche dell’agenda 2023 è rimasto solo il titolo. Perfino il desk italiano della Segreteria di Stato vaticana in una nota interna ha fatto notare, non solo al Santo Padre, che il presidente Conte “è stato allarmista quando doveva essere cauto e troppo rassicurante quando la situazione economica è uscita dal controllo”. Nel lessico della Chiesa, una bocciatura senza appello.
Dopo l’eventuale passo indietro per favorire una crisi lampo, la prima scelta sul prossimo Premier è per Dario Franceschini che, come capo delegazione del Pd, è l’osservatore più attento della disastrosa gestione Conte, oltre ad essere pieno di amici ed estimatori nella “Manica Lunga” del Palazzo del Quirinale ma anche in Parlamento. Sotto osservazione, sempre in quota Pd, lo stesso segretario Nicola Zingaretti, con una lunga esperienza di amministratore pubblico e Lorenzo Guerini che, in poco tempo, è riuscito a farsi apprezzare negli ambienti militari e industriali e a tessere relazioni internazionali di primo piano, a partire dagli Stati Uniti.
Mattarella, in virtù del suo precedente incarico istituzionale, guarda sempre con attenzione anche alla Corte Costituzionale, con un occhio di riguardo alla Presidente, Marta Cartabia, al momento non disposta ad abdicare al proprio ruolo, e al suo predecessore, Giorgio Lattanzi, che, negli ultimi anni, ha assunto un atteggiamento garantista e favorirebbe intese politiche interessanti. Come outsider, in un possibile “Governo del Presidente”, Mattarella potrebbe mettere in campo il suo uomo più fedele e ascoltato, Ugo Zampetti, con un passato consumato di grand commis come segretario generale della Camera dei Deputati. La scelta di Zampetti servirebbe a riannodare il filo tra Governo e Parlamento, ormai logoro.
Alla Camera come al Senato, come certifica una nota contenuta in una cartellina di cuoio blu appoggiata sullo scrittoio del Presidente, ci si riunisce in aula in media un giorno e mezzo alla settimana e si votano solo ratifiche, mozioni e questioni di fiducia. Con la maggioranza in disaccordo su tutto, è l’unico modo per far passare i provvedimenti, soffocando il dibattito parlamentare. Si procede a colpi di decreti-legge, con il risultato che i voti rilevanti da inizio legislatura, marzo 2018, sono stati solo trentaquattro, in ciascun ramo del Parlamento. Altri tre decreti sono ancora in pieno rimpallo tra Camera e Senato, mentre sei sono decaduti, potremmo dire “andati in prescrizione”, visto che le assemblee non sono riuscite ad approvarli entro il termine tassativo di sessanta giorni.
Dei decreti attuativi in freezer non si tiene più neppure il conto. Ma se l’Esecutivo decide di rinviare e approvare i provvedimenti sempre solo “salvo intese”, persino sui provvedimenti economici legati al Coronavirus, il potere legislativo va ancora più a rilento: sui 3.779 disegni di legge presentati, solo 140 hanno concluso l’iter positivamente, mentre i restanti non sono stati ancora neanche assegnati alle commissioni parlamentari. Tanto che, ormai, molti parlamentari stanno cercando il secondo lavoro.