Cronaca

La morte del boss

Matteo Messina Denaro, quali segreti si porta nella tomba

Dalle stragi di mafia del ’93 all’archivio di Riina, dai covi segreti al cambio di strategia di Cosa nostra, ecco i misteri del boss di Corleone

Matteo Messina Denaro arresto

Matteo Messina Denaro è deceduto stanotte per le conseguenze legate a un tumore al colon al quarto stadio. Il capomafia di Castelvetrano si trovava nel reparto per detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. L’arresto di Messina Denaro risale al 16 gennaio di quest’anno, dopo circa trent’anni di latitanza.

Essere l’ultimo latitante della stagione stragista di Cosa nostra, rimasto in circolazione fino a otto mesi fa, aveva trasformato Matteo Messina Denaro in un forziere di segreti vivente. Segreti destinati a restare tali ora che è morto. Un forziere che poteva aprire solo lui, ma che si è ben guardato dal fare quando ha avuto di fronte a sé i magistrati inquirenti dopo la cattura a Palermo. “Io non mi farò mai pentito”: così aveva avvisato il Pm nel primo interrogatorio.

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Se ne va un brutale assassino. Un omicida infame e spregiudicato, incapace di provare alcuna forma di pietà. Un mafioso responsabile di innumerevoli stragi che hanno insanguinato la storia d’Italia degli ultimi trentacinque anni. Di seguito riportiamo solo alcuni dei delitti compiuti Messina Denaro, i cui retroscena rimarranno probabilmente ignoti.

L’omicidio (mancato) di Falcone

Nel marzo 1992 Messina Denaro faceva parte del commando inviato a Roma con l’intento di trovare e uccidere il magistrato Giovanni Falcone durante la settimana, mentre era nella capitale per lavorare al ministero della Giustizia. Ma dopo qualche giorno, Totò Riina decise di richiamare il mafioso corleonese e le giovani leve in Sicilia perché aveva trovato un’altra soluzione: la strage di Capaci, che sarebbe avvenuta con modalità terroristiche. Una scelta legata all’inconcludenza della “missione romana”, ma che conteneva in sé un cambio di strategia: non solo una vendetta mafiosa, bensì un attentato di portata tale da innescare una nuova “strategia della tensione”.

Le stragi di mafia

Il capomafia di Castelvetrano sapeva perché fu presa quella strada e, soprattutto, perché si decise di continuare a percorrerla per tutto il 1993, prima e dopo la sua entrata in latitanza. Quando Messina Denaro si sottrasse al primo ordine di arresto, nel giugno 1993, Cosa nostra aveva già cominciato a uccidere nel continente con le stragi di via dei Georgofili a Firenze e il tentato omicidio di Maurizio Costanzo a Roma.

A luglio dello stesso anno esplosero le bombe di Roma e Milano: altri morti ignari, e la minaccia di colpire di giorno anziché di notte, con la minaccia di fare molte più vittime. C’era anche lui, nella riunione di inizio aprile 1993, dove tra i mafiosi che avrebbero dovuto trasportare gli ordigni esplosivi circolavano i dépliant turistici con le immagini dei monumenti da colpire. Per quale motivo intraprese quella scelta logistica?

L’archivio del “capo dei capi”

Dopo l’arresto di Riina nel celebre blitz del 15 gennaio 1993, scaturì l’ennesimo mistero: in che modo l’archivio del “capo dei capi” sarebbe sopravvissuto al suo proprietario? Secondo quanto ha raccontato un pentito considerato attendibile come Nino Giuffrè, l’ex braccio destro di Provenzano consegnatosi ai carabinieri nel 2002 e divenuto collaboratore di giustizia, parte dei documenti presi a casa di Totò Riina sarebbero finiti nelle mani di Messina Denaro. Dopo l’arresto del 16 gennaio 2023 quel “tesoro” non è mai stato rinvenuto. Gli inquirenti hanno trovato numerose chiavi, ma senza scoprire quali porte potessero aprire. Ad oggi si cercano ancora gli altri covi segreti del boss.

L’agenda di Borsellino

Salvatore Baiardo, già protettore dei fratelli mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano, ha ipotizzato che a Messina Denaro fosse arrivata persino la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino, sparita da via D’Amelio subito dopo la strage. Ma a sottrarre quel documento dalla scena del crimine non furono in tutta probabilità gli uomini della mafia. A questo proposito, non si conosce il motivo alla base della transizione dalla mafia contro lo Stato a quella che torna a conviverci, sotto la guida di Bernardo Provenzano, senza più bombe né “delitti eccellenti”, ma con nuovi accordi e referenti che hanno consentito a Cosa nostra di riprendere il suo andamento pre-stragi. Un cambio di strategia al quale Messina Denaro non solo si è adeguato, ma che ha condiviso.

La “mafia silente”

La corrispondenza tra Messina Denaro e lo “zio Binnu”, sequestrata dalla polizia nel covo alle porte di Corleone dove Bernardo Provenzano fu arrestato l’11 aprile 2006, dimostra che lo stragista era divenuto un sostenitore della “mafia silente” degli anni duemila. Il boss aveva adottando lui stesso quella modalità di azione dopo la cattura di Provenzano, intrecciando a sua volta alleanze e complicità nella pubblica amministrazione e nel mondo delle professioni siciliane che l’hanno aiutato a sfuggire alla giustizia fino al gennaio scorso, nonostante il suo status di super-latitante.

Le parole di Nicola Di Matteo

Arrivano in mattinata le dichiarazioni di Nicola Di Matteo, fratello del piccolo Giuseppe, il bambino di quattordici anni strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca e dello stesso Matteo Messina Denaro. “Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé (Messina Denaro, ndr) si porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato con la giustizia”. Nelle ore immediatamente successive all’arresto del padrino di Castelvetrano, Di Matteo aveva detto di Messina Denaro: “Mi auguro che possa vivere il più a lungo possibile per avere una lunga sofferenza, la stessa che ha imposto a mio fratello, un ragazzino innocente”.

La notizia della fine del capomafia non gli provoca “nessun sollievo”. “Da credente non avrei potuto augurargli la morte. Non si può augurarla a nessuno se si ha un po’ di umanità, ma se fosse rimasto in vita sofferente avrebbe forse capito il dolore enorme che ci ha inflitto”. giornate, ancora una volta alla mente vengono quei giorni terribili. E’ una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era un bambino, solo un bambino…”.

Lorenzo Cianti, 25 settembre 2023