Ha suscitato reazioni prevedibili la prima parte del docufilm renziano Firenze secondo me trasmesso da Nove. Gli odiatori di Renzi lo hanno bastonato in rete (“blastato”, si dice adesso), mentre i simpatizzanti e gli amici hanno replicato lodando la versatilità dell’ex premier.
Certo, gli spettatori sono stati abbastanza impietosi, nel senso che non si sono proprio presentati: appena l’1,8% di share, 367.000 coraggiosi, con il programma battuto perfino da La Fabbrica dei Biscotti su Tv8 (463.000 spettatori, 2,2%).
Si potrebbe malignamente concludere che quell’1,8 è un sondaggio anticipato verso le Europee su un’ipotetica Lista Renzi. Qualcuno sui social, ancora più perfido, ha sottolineato che l’ascolto si è mantenuto nei parametri europei, non ha sforato il 3 e nemmeno il 2,4 e neppure il 2,04.
Eppure, battute e controbattute a parte, c’è qualcosa di più profondo che va osservato. Non farà piacere a nessuno dei due, ma Renzi – mutatis mutandis – tende ad attirarsi la stessa critica che tanti anni fa fu indirizzata a uno dei suoi arcinemici di sinistra, Nanni Moretti.
Interpellato sul cinema morettiano, il grande Dino Risi coniò una battuta devastante: “Nanni, scansati e fammi vedere il film”.
Per Renzi, che cineasta non è, vale lo stesso, a suo modo, e il problema è proprio il carattere dell’uomo: tv, cinema o politica c’entrano poco. Tra faccine, camminate, intonazioni di voce, battute che vorrebbero risultare simpatiche, aneddoti personali non necessari, c’è sempre e solo lui al centro della scena. Torna alla mente il titolo di un film di Blasetti del 1953: “Io, io, io e gli altri”. E gli altri tendono a stufarsi.
Daniele Capezzone, 17 dicembre 2018