Il New York Times, d’ora in avanti NYT, pare una prestigiosa baracca di cretini. Il NYT è l’organo ufficiale progressista della sottocultura woke, e questo basta a legittimare la definizione di poc’anzi. Il NYT, le cui “inchieste” si distinguono sempre più per faziosità, censura sulle rogne democratiche, invenzioni e ricami su quelle trumpiane o comunque repubblicane, fa le pulci, udite udite, a Vacanze di Natale, film italiano di 40 anni fa. Per la serie: non averci un… da fare. Leva il suo ditino smaltato rossodem, modello signora Cobelli, il NYT, e, un po’ alticcio, starnazza: ah, che vergogna, che torpigna, tutte quelle battute sessiste, oh, così volgari, signora mia. Eh, loro a Capodanno vanno dai Fustemberg, i principi. E qui vedono un film cecoslovacco, ma con sottotitoli in tedesco…
Il NYT, uno potrebbe anche invitarlo a farsi i Clinton suoi, quelli che stavano sempre in mezzo agli Epstein, ai Weinstein, ai sigari, ma questo sì che sarebbe volgare, perché troppo facile. Il NYT comunque non sa di cosa parla, il che gli succede spesso, nella sua perenne vacanza non solo natalizia dal cervello. Il critico del NYT, Jason Horowits, che nome altisonante ma sprecato, scolpisce paranoicamente: “Lo stanno riabilitando [il film] come classico di culto che ha elevato a forma d’arte l’amore italiano per il tradimento, per l’umorismo da toilette e per le imprecazioni folcloristiche, per lo scontro tra gli italiani di classe differente”. Non vuol dire un emerito cazzo, a proposito di imprecazioni folcloristiche, per cui va benissimo per il NYT che, nel suo snobismo, si caga in mano (idem come sopra).
Mister Horowitz, del NYT, dovrebbe ripassarsi, se proprio vuole inoltrarsi nel campo minato della cultura popolare, dell’umorismo europeo e italiano, dovrebbe ripassarsi un bel po’ di roba, risalendo da Vacanze di Natale alla Commedia all’Italiana di seconda generazione, anni ‘70, alla Commedia all’italiana di prima generazione o del boom economico, anni 50-60, su per li rami alla Commedia dell’Arte, al Ruzante, più su, fino a toccare il blu delle farse, le atellane, le invettive catulliane e la satira latina che non risparmiava l’Imperatore in persona: “Oh barbaro, tu mi somigli in modo sorprendente: forse tuo padre era di Roma?”. “No, divino Claudio, ma c’è passata mi’ madre”. Che come battuta sembra uscita da un fianco di Vacanze di Natale.
Ora, lungi da noi riabilitare – non c’è bisogno, non è il caso, chi se ne frega comunque – una pellicola che, ha ragione Enrico Vanzina, non era un cinepanettone, eppure ha funzionato da archetipo, da nonna di tutti i cinepanettoni. Una cosetta carina, azzeccata come spirito del tempo, di fatto una sequela di gag, di trovate da post avanspettacolo, senza una trama definita, battute a volte scontate, recitazioni magari sopra le righe; eppure capace di entrare sotto la pelle degli italiani, che ci si sono riconosciuti. Non un moderno neorealismo, volendo uno scadimento della citata commedia cinica dei Risi, i Monicelli, non dei “nuovi mostri” ma la borghesia che, uscita dall’incubo degli anni di piombo, si perdeva nel benessere, diventava caricaturale. O forse era solo giunto il tempo di vederla per quella che era, quella borghesia un po’ ridicola, con l’orologio sul polsino e le teste da matta di Rossella Como, il che rappresenta il merito forse casuale, forse neppure cercato, dell’operetta.
Marchiarlo come scontro di classe nella temperie vulgarizzata, però, anche no. Non aveva senso all’epoca, e non ce l’ha a maggior ragione oggi con quella ambizione idiota di applicare la lotta di classe al classismo autoironico del Dogui che vedeva “scodinzolare l’animale con un trecentomila di mancia”, il cameriere, “e stai nel burro tutta la vacanza”. Se uno non capisce che quella improvvisazione geniale di Guido Nicheli (perché lui improvvisava tutto) era satira non verso i poveracci, ma i riccastri cafoni, che parla a fare? Se a “sole, whisky, e sei in pole position” pretende di sostituire “pioggia, trans e sei in pole position”, che campa a fare? Se li sfugge che nella noncuranza di De Sica-Cobelli, “eeeh, frocio… Bisex. Moderno, ecco: moderno!” stava già una promessa di liberazione sessuale che l’idiotocrazia woke oggi ha travolto col suo obbligo di “percepirsi” a giorni alterni, è meglio che cambi mestiere. Eh, mister Horowitz?
Il moralismo educativo, ma cialtronesco, del NYT è peggio che sciocco, peggio che patetico: è semplicemente irrazionale, del genere improponibile. È triste, perché si ostina, si infogna in quella pretesa, tutta woke, di rileggere, e di conseguenza censurare, alla luce delle istanze attuali, come quando si denunciano Colombo, Lincoln e pure Gandhi di crudeltà bianca. È la solita balordaggine, quella sì razzista, dunque volgarissima, che imputa gli orrori del mondo e della Storia ad una sola razza, quella bianca occidentale, e sorvola o giustifica tutto il resto. Ma il NYT, nella sua rozza, perfino infantile lettura, non sa o dimentica che Vacanze di Natale, l’abbiamo già accennato, fu il filmetto giusto al momento giusto, intercettò la mutazione sociale di un Paese ridestato dopo 15 anni di violenta follia, che non si vergognava più di vivere e magari di contare i suoi soldi, i suoi piccoli o grandi lussi, le proprie illusioni.
Succedeva qualcosa in quel 1983 e dintorni: succedeva che l’Italia rialzava la testa, si specchiava e si ritrovava cambiata di fuori, nei bomber, nei moonboots, ma identica di dentro, “Fusilli!!!” e vai con la spanciata oscena, atavica, succedeva che anche i proletari come la famiglia Marchetti potevano permettersi di osare Cortina al posto di “Ovindolo” perché, evidentemente, il Paese era tornato a tirare come una locomotiva addormentata da un decennio e mezzo. E le avvisaglie, per quelle coincidenze esoteriche che non si spiegano e perciò non cessano di affascinarci, si erano avute col trionfo calcistico dell’anno prima in Spagna, quella Nazionale arrivata come i dannati della terra e ripartita sul tetto del mondo.
In quelle partite a colori, dove gli avversari cadevano uno dopo l’altro come dèi onnipotenti, dove gli zoppetti e stortignaccoli azzurri assumevano via via le sembianze di giganti, dove l’italiano Paolo Rossi riscattava una prima parte da infame scoprendosi divino castigamatti, stava già tutta la riscossa di una nazione e di un popolo, che poi si fiondava nelle piazze, nelle fontane con furia presociale, preindustriale, in quella che sarebbe rimasta come l’ultima autentica rappresentazione di isteria popolare, genuina, moderna ma non ancora corrosa dalla post modernità. Lo avevano capito bene i Rolling Stones, lo aveva sentito come nessuno Mick Jagger che nei due concerti italiani prima profetizzava il trionfo, “Vincerete 3-1”, e succedeva, vecchia puttana di un Mick, e poi facevano salire sul palco i neocampioni del mondo a presentarli.
Ecco, l’Italia s’era ridesta e d’incanto pareva capace di tutto, proprio come i suoi giocatori. E partiva una stagione importante, anche quella per l’ultima volta, non ancora sabotata da una Europa che di unita aveva solo la volontà di farcela pagare. E in quel passaggio, in quel momento non ci poteva essere rappresentazione migliore di Vacanze di Natale a illustrare tutto questo in chiave umoristica, leggera, quasi farsesca: ma non superficiale, perché l’apparente qualunquismo nascondeva se mai una velata ma feroce critica all’eterno qualunquismo nazionale. Questa è la ragione per cui Vacanze di Natale è stato nel tempo riabilitato quasi suo malgrado. E questo il NYT avrebbe dovuto capire, ma non ce l’ha fatta perché è una sussiegosa corazzata giornalistica di limitati, se non di ottusi.
In Italia, larga enfasi è stata data al NYT da Repubblica, per il tramite dell’inviato speciale Gianni Riotta, che è un po’ il Nando Mericoni del giornalismo tricolore e mi dispiace molto che quella carogna di Gigi Mascheroni sul Giornale mi abbia negato, precedendomi, una battuta folgorante: “Pulitzer is nothing”. Però qua il vostro umile cronista si ferma, perché sulla correlazione NYT – Rep, ognuno è libero e capace di trarne le conseguenze, logiche, sillogistiche, aritmetiche del caso.
Max Del Papa, 4 gennaio 2023