Politica

Meloni e Mattarella in corsa per Xi Jinping

Gara tra Colle e Palazzo Chigi per gestire i rapporti con il leader cinese che adesso torna ad essere politicamente appetibile

Xi-Jiping, Mattarella, Meloni © AndrewLinscott e STILLFX tramite Canva.com

Veni, vidi e persi. Archiviata in fretta e furia il flop mondiale della candidatura di Roma a Expo 2030, nei palazzi del potere va ora in onda «Alla ricerca del Dragone perduto»: protagonisti Re Sergio e Super Giorgia, i quali fanno a gara per andare in Cina a rendere omaggio al capo supremo Xi Jinping. Dopo il periodo «Contiano» della grande infatuazione per Pechino, negli ultimi tempi tra Italia e Cina era effettivamente sceso il gelo e, tra le nostre Istituzioni, era partito lo scaricabarile su chi dovesse comunicare l’uscita dell’Italia dall’accordo di partenariato economico «la via della seta».

Ora, invece, la corsa al gigante cinese è ripresa di gran lena. Ma cosa l’ha scatenata? Lo sdoganamento del presidente americano Joe Biden che ha incontrato a San Francisco Xi Jinping. Se lo ha fatto lui, possiamo incontrarlo anche noi, è stato il rebound in Italia. Lo spiega molto bene Claudio Pagliara nel suo intrigante La tempesta perfetta volume edito da Piemme. L’autore conosce nel profondo sia la Cina che gli Usa per aver lavorato come corrispondente Rai prima a Pechino e poi a Washington. Il libro offre inizialmente una raccolta di aneddoti e incontri dell’autore per poi mutare in un’analisi attenta e documentata del panorama attuale della società e della politica cinese.

Si passa, così, dai bordelli di Dongguan – un tempo destinati ai clienti e ai funzionari di partito di passaggio per ispezionare fabbriche o per partecipare a fiere, chiusi però nell’era moraleggiante di Xi e diventati oggi suite di lusso- al sistema educativo cinese con presidi che espellono studentesse «non conformi» e altri particolari interessanti come il diario con lucchetto di una bambina rinvenuto a scuola e ritenuto dall’insegnante una minaccia all’autorità e all’ordine costituito. Ma è sui delicati rapporti con Taiwan che l’autore fornisce la sua analisi esperta: «La Terza guerra mondiale non è mai stata così vicina. La Russia di Putin ha sferrato il primo colpo all’ordine mondiale, invadendo la sovrana Ucraina. La Cina di Xi Jinping minaccia di aprire il secondo, forse ancor più importante, fronte, cercando di annettere con l’uso della forza Taiwan».

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Sarebbe la tempesta perfetta, che però: «Può ancora essere scongiurata. A patto che l’Occidente non si divida. E si mostri altrettanto determinato a usare gli stessi mezzi per difendere lo stato insulare da un’eventuale aggressione bellica cinese di quelli utilizzati per difendere l’Ucraina. Oggi più che mai, tutti coloro che hanno a cuore la democrazia, i diritti umani e la pacifica convivenza devono dire senza esitazione: «Siamo tutti ucraini, siamo tutti taiwanesi».

Tornando all’incontro tra Xi e Biden, forse ha prodotto effetti maggiori in Italia che nelle relazioni Usa-Cina, tanto più che, nelle sue dichiarazioni alla stampa, il Capo di Stato americano non ha esitato a definire ancora una volta, e ancora non si sa se per l’ennesima gaffe o meno, Xi «dittatore». E dire che in tempi non sospetti, diversi anni fa, giocarono addirittura insieme a basketball. Quest’ultimo incontro ha siglato una tregua che entrambi volevano. Biden ha già due guerre in corso e non vuole nuove tensioni. Xi, il nuovo Mao, deve concentrarsi sulla sua economia e non vuole che le elezioni presidenziali a Taiwan di gennaio 2024 gli sfuggano di mano.

Per Francesco Scisci, autorevole sinologo, la tregua tra le due potenze mondiali dovrebbe durare fino alla fine della guerra a Gaza, quindi si presume verso marzo 2024, dopo il capodanno lunare cinese. In quel momento, si vedrà se i rapporti miglioreranno, peggioreranno o saranno congelati in una specie di nuova rivalità che nessuno dei due Paesi vuole chiamare «guerra fredda». Per gli Stati Uniti, tra l’altro, il vertice californiano ha offerto l’opportunità per mettere in luce, in chiave tutta interna, il governatore della California, Gavin Newsom, già sindaco di San Francisco, che non aspetta altro che il via libera per rimpiazzare Biden come candidato democratico alle presidenziali del 2024.

Inoltre, il summit è riuscito anche a ripulire temporaneamente l’immagine della città ospitante, degradata sotto il governo della sinistra a suon di immigrati, clochard e tossici. Non va peraltro dimenticato che quella a San Francisco è stata la prima visita del presidente cinese negli Stati Uniti dal 2017. Altri risultati ottenuti: l’accordo per arginare il flusso di Fentanyl, la droga sintetica che sta devastandogli Stati Uniti proveniente dalle esportazioni cinesi di precursori chimici, e l’invito di due ospiti illustri a Pechino nel 2024 come Janet Yellen e Lloyd Austin, rispettivamente il segretario al Tesoro e il segretario alla Difesa americani.

Ma a fine 2024, quando si voterà negli Usa, la nostra Giorgia con chi si schiererà? Farà l’endorsement al presidente uscente democratico o il suo vecchio ruolo di presidente dei conservatori europei le farà ribattere il cuore per il candidato conservatore per la Casa Bianca Donald Trump? Proprio per assurdo, potrebbe essere solo un Trump di nuovo presidente a poter fermare le guerre. E con lui, forse, la tempesta perfetta, la Terza guerra mondiale, può ancora essere scongiurata. A patto che l’Occidente tenga unito la barra dritta. E visto che Taiwan sta alla Cina come l’Ucraina alla Russia, la gara ad incontrare l’imperatore di Pechino tra Re Sergio e Super Giorgia, già divisi da troppi dossier, dal premierato alla magistratura, cui prodest?

Luigi Bisignani per Il Tempo 3 dicembre 2023