Meloni inchioda l’ex Fiat: “Ormai sono francesi”. È scontro con Stellantis

Il premier alla Camera: “Il governo difende gli interessi italiani”. E critica le scelte del management: “La fusione con Psa celava una acquisizione”

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Se non è guerra aperta, poco ci manca. Giorgia Meloni contro Repubblica. Meloni contro Stellantis. Stellantis spalleggiata da Repubblica, ma criticata da un pezzetto residuo dalla sinistra (Calenda e Alleanza Verdi Sinistra). Una grande rissa attorno più grande produttore di auto in Italia, che ormai di italiano non ha più nulla. A partire dal primato di vendite.

Dopo l’intervista del premier a Quarta Repubblica, in cui Meloni metteva in evidenza l’ipocrisia di un giornale che pontifica sull'”Italia in svendita” ma dimentica di criticare le scelte aziendali della società di proprietà del gruppo Gedi, che edita il quotidiano, la maretta si è trasformata in tempesta. Ieri il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha difeso il gruppo dalle “accuse della politica”, ricordando che per l’azienda lavorano “40mila dipendenti” e chiedendo “rispetto”. Come in uno scontro di tennis, la leader di FdI ha risposto per le rime, bacchettando Tavares per le scelte “distanti dagli interessi italiani”. “Fiat è un patrimonio che merita la massima attenzione – ha detto il premier alla Camera, replicando ad un’interrogazione sulla continuità produttiva e occupazionale di Stellantis e Magneti Marelli – e questo vuol dire anche criticare le scelte fatte quando sono state contro gli interessi italiani, come lo spostamento della sede legale fuori dall’Italia, la presunta fusione con il gruppo Psa, che celava in realtà un’acquisizione francese”. Tanto che oggi “nel Cda siede un rappresentante del governo francese e non è un caso se le scelte industriali del gruppo tengano in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane”.

Tra il 1975 e il 2012, come ricorda un’analisi di Federcontribuenti, la vecchia Fiat ha incassato dallo Stato qualcosa come 220 miliardi in prepensionamenti, casse integrazioni, piani di rottamazione e incentivi vari per poi traslocare altrove. Ci sta che Palazzo Chigi sia un tantino irritata visto che oggi in Francia si produce più che in Italia, “dove siamo passati da oltre un milione di auto prodotte nel 2017 a meno di 700.000 prodotte nel 2022”. Con i conseguenti tagli in termini di posti di lavoro, calati di 7mila unità.

La guerra governo-Fiat si gioca sul piano economico, ma anche a suon di principi. Lo slogan di Meloni è: “Se si vuole vendere un’auto sul mercato mondiale pubblicizzandola come gioiello italiano, allora quell’auto deve essere prodotta in Italia”. L’obiettivo dell’esecutivo resta quello di “difendere la produzione in Italia, i livelli di occupazione e tutto l’indotto dell’automotive”. Ma avverrà senza favoritismi, soprattutto per chi preferisce sponsorizzare la produzione in Marocco. “Abbiamo previsto incentivi come l’ecobonus per sostenere la domanda e misure di sostegno per attrarre nuovi investitori e costruttori”, ha aggiunto la premier. “Abbiamo modificato le norme da un parte incentivando chi torna a produrre in Italia e dall’altro scoraggiando chi delocalizza che dovrà in questo caso restituire ogni beneficio o agevolazione pubblica ricevuta negli ultimi 10 anni”.

Anche Carlo Calenda è d’accordo nel dire che “su Stellantis era necessario fare chiarezza”. Da quando gli Elkann hanno acquistato il gruppo Gedi, e dunque i quotidiani La Stampa e Repubblica, secondo il leader di Azione c’è stato un effetto sulla sinistra italiana perché “Elly Schlein e il sindacato italiano non parlano più” della Fiat mentre “Landini ha ammorbidito i toni in maniera incredibile”. Una metamorfosi che avevamo fatto notare a dicembre su questo sito, denunciando lo strano silenzio del segretario Cgil sulla Panda prodotta in Serbia. “Il punto – spiega Calenda – è che non c’è nessuna chiarezza e siamo mantenuti in uno stato di voluta non chiarezza su quello che sarà il futuro in Italia del gruppo Stellantis, non un mercato qualsiasi, perché la Francia non viene trattata così, ma viene considerato come il mercato della casa madre”.

Quando venne realizzata la “fusione” con Psa, l’azienda diede alcune rassicurazioni su produzione e livelli occupazionali. Ma ormai l’Italia sembra essere diventato solo uno dei tanti mercati di Stellantis che, per dirla con le parole di Marco Grimaldi (Avs), “continua a chiedere incentivi” mentre la Panda elettrica trasloca in Serbia, la Topolina in Marocco e a Mirafiori si viaggia a suon di cassa integrazione. Il ministro Adolfo Urso punta ad assicurare la produzione di un milione di mezzo nel Belpaese, ma Stellantis (16,8 miliardi di profitti globali nel 2022) batte cassa sugli incentivi. E la cosa deve aver innervosito Palazzo Chigi.

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