Politica

Chiamatemi "il presidente"

Meloni, le femministe impazziscono. La follia in Rai: “Va usato il femminile”

La scelta del nuovo presidente del Consiglio scatena una ridda di polemiche. Femministe sul piede di guerra. E pure l’Usigrai

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Siamo a questo livello qui. Sintetizzo: Giorgia Meloni si definisce “il presidente” ma non può farlo. Si veste con un abito nero dal taglio quasi maschile e non può farlo. Chiama il suo partito “Fratelli d’Italia” e Laura Boldrini l’accusa di patriarcato. Siamo a quel punto di impazzimento collettivo in cui addirittura l’Usigrai dirama una nota ufficiale per denunciare “arretramenti” visto che le direzioni “chiedono il maschile” nel riferirsi al neopremier.

Le critiche alla Meloni

Partiamo dal principio, ovvero da Laura Boldrini. L’ex presidente della Camera il giorno del giuramento ha diramato le sue congratulazioni alla prima presidente del Consiglio donna d’Italia, non poteva fare altrimenti, ma non senza aggiungere un “però”. Ovvero che tra i ministri ci siano poche donne. Roba di poco conto, visto che Meloni ha sempre difeso il diritto di scegliere le persone in base alla loro qualità e non per diritto divino o per quote rosa e di genere. Ma il meglio di sé l’ex presidente l’ha dato oggi. “La prima donna premier si fa chiamare al maschile, il presidente – scrive – Cosa le impedisce di rivendicare nella lingua il suo primato? La Treccani dice i ruoli vanno declinati. Affermare il maschine è troppo per la leader di Fdi, partito che già nel nome dimentica le Sorelle?”.

Ovviamente Meloni si difende da sé. Ci siano permesse però tre osservazioni. Primo: se avesse chiamato il partito Fratelli e Sorelle d’Italia sarebbe sembrata un’antifona del messale più che la sigla di un movimento politico. Secondo: anche l’inno di Mameli, cui evidentemente si richiama FdI, fa appello solo ai fratelli d’Italia (e non alle sorelle), cosa che non impedisce alla Nazionale di cantarlo ad ogni piè sospinto (non vorremmo aver dato un suggerimento a Boldrini per la prossima proposta di legge). Terzo: forse Meloni ha scelto il maschile proprio per rimarcare una distanza da quel femminismo isterico e “schwa centrico” che pervade le elette di sinistra, sempre pronte a combattere simili battaglie politiche ma poi incapaci di realizzare ciò che Meloni ha fatto. Cioè fondare un partito, diventarne la leader, guidarlo con mano ferma per 10 anni e infine entrare a Palazzo Chigi.

La nota dell’Usigrai

Scrivono sarcarsticamente molti dei follower della Boldrini: “Questa sì che è l’opposizione giusta, avanti così”. Come a dire: ma non avete di meglio a cui pensare? Evidentemente no, neppure all’Usigrai. Il sindacato dei giornalisti di viale Mazzini infatti ha diffuso una nota per denunciare “un pericoloso arretramento” nelle testate della Rai. E cioè: cioè seguire quello che le note ufficiali di Palazzo Chigi riportano, ovvero la declinazione al maschile del ruolo di primo ministro. “L’avvocato, l’avvocata. Il presidente, la presidente. Mentre l’Italia si sta faticosamente adeguando agli standard europei sull’uso del femminile negli incarichi pubblici e nelle professioni – come dimostra anche la recente scelta della Treccani, che segue le indicazioni già fornite dall’Accademia della Crusca – in molte testate della Rai stiamo assistendo ad un pericoloso arretramento”, si legge nel comunicato.

“Va usato il femminile”

Secondo il sindacato alcune direzioni delle testate starebbero “chiedendo alle colleghe e ai colleghi di usare il maschile per indicare il nuovo incarico di Giorgia Meloni, perché è lei a chiederlo. Ferma restando la libertà di ogni persona di denominarsi come meglio crede, altra cosa è il racconto giornalistico. Ricordiamo che il contratto Rai Usigrai contiene al proprio interno il Manifesto di Venezia che fa preciso riferimento al linguaggio di genere, e che la policy di genere aziendale, recentemente approvata dal consiglio di amministrazione della Rai indica di usare il femminile lì dove esista. Nessun collega può essere dunque obbligato ad usare il maschile. Anzi i giornalisti Rai sono tenuti a declinare al femminile i nomi“. C’è bisogno di commentare?