Come è noto, il prossimo 4 settembre i partiti della maggioranza si incontreranno a Palazzo Chigi per discutere i contorni della prossima, complicatissima legge di Bilancio. Un passaggio assai delicato per il governo Meloni, che contemporaneamente dovrà affrontare alcune questioni ancora in alto mare, come la controversa tassa sugli extraprofitti e il dossier sul salario minimo, ultima residuale battaglia di una sinistra perennemente a metà del proverbiale guado.
In uno stringato intervento in video collegamento con il Meeting di Rimini, il ministro dell’Economia Giorgetti non sembra aver lasciato molto spazio alle illusioni del grande partito trasversale della spesa pubblica: “Siamo chiamati – poiché facciamo politica – a decidere delle priorità: non si potrà fare tutto, certamente dovremo intervenire a favore dei redditi medio bassi, ma dovremo anche usare le risorse a disposizione per promuovere la crescita. Questo è l’indirizzo”.
Inoltre, ed è questo a mio avviso il punto più significativo del suo intervento, il bocconiano della Lega ha poi tenuto ha sottolineare che alla base di tutto dovrebbe esserci la questione della sostenibilità. Una sostenibilità a tutto tondo che non tenga in considerazione solo gli aspetti ambientali, ma anche quelli legati alla tenuta dei conti pubblici. Tant’è che in merito alla spesa pensionistica, la quale in Italia ha raggiunto livelli colossali, ha detto che “il tema della denatalità, che ho posto qualche mese fa e che intendo riproporre, è fondamentale: non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo con i numeri della natalità che vediamo oggi in questo Paese”.
Ora, a beneficio di chi ritiene che occorra svincolarsi il più possibile dai paletti, attualmente assai laschi, che sono imposti dal consesso dei Paesi che fanno parte della moneta unica, Italia compresa quindi, occorre sottolineare per l’ennesima volta che è proprio in virtù della nostra appartenenza alla zona euro che, almeno per adesso, la sostenibilità del colossale debito pubblico italiano non è in discussione.
Ma, come si è visto con il caos economico e finanziario che si è creato con la pandemia di Covid-19, le politiche espansive che lo stesso partito trasversale della spesa pubblica continua ad invocare a giorni alterni anche in tempi normali, un conto molto salato lo portano sempre, attraverso una inflazione galoppante. Inflazione che massacra soprattutto i ceti più poveri e che tende nel medio e lungo periodo a destrutturare il sistema economico nel suo complesso.
Quindi, ha fatto molto bene Giorgetti ha mettere in evidenza il tema della sostenibilità finanziaria del Paese, sempre più oscurato da una ossessiva ricerca di una sostenibilità ambientale che, perdurando l’andazzo a calciare all’infinito la lattina di una disciplina di bilancio sempre di là da venire, alla fine verrà realizzata facendo sprofondare il Paese nell’inferno del sottosviluppo.
D’altro canto sono sempre più convinto che, al di là di chi sia alle redini dell’Italia, solo una prospettiva politica di lungo periodo potrebbe gettare le basi per ottenere una solida sostenibilità di una finanza pubblica gravata da un debito che si avvicina rapidamente ai 3.000 miliardi di euro e un welfare – che include previdenza e assistenza – il quale già nel 2021 assorbiva ben 518 miliardi, ovvero il 49% dell’intera spesa pubblica. Un welfare cresciuto di oltre il 20% in dieci anni, rispetto allo striminzito 10% registrato dal Pil.
Ma, onde gettare le basi per una tale prospettiva, occorrerebbero due condizioni fondamentali: in primo luogo rivolgersi ai cittadini raccontando loro la realtà dei fatti, analogamente a ciò che si è sforzato di fare il ministro dell’Economia; e di conseguenza guardare un tantino di più l’andamento dei conti e un po’ meno quello dei demenziali sondaggi politici della settimana. Tutto ciò sempre coi limiti imposti dalla principale ragione sociale di chiunque svolga una attività politica di alto livello, che è universalmente legata al raggiungimento del massimo consenso possibile.
Pertanto, si tratta di scegliere se puntare ad un consenso effimero, secondo una nostra particolare tradizione, o rischiare una certa impopolarità per poi instaurare un ciclo politico di ampio respiro. In questo senso, da modesto osservatore, la partenza di Giorgia Meloni è stata abbastanza promettente, ma negli ultimi alcune ombre sinistre, frutto di scelte piuttosto infelici, sembrano aver offuscato il suo già difficile compito. Staremo a vedere.
Claudio Romiti, 27 agosto 2023
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