Signori si nasce, diceva Totò. E bisogna pure dimostrarlo in certi casi. Nella conferenza stampa di oggi, Giorgia Meloni – pur rimarcando il tremendo errore della diplomazia di Palazzo Chigi sul caso dello scherzo dei due comici russi – al consigliere Francesco Talò ha riconosciuto il “gesto di responsabilità”, forse obbligato ma non così scontato, che si è assunto da responsabile dell’ufficio. Lui se ne va e il caso si chiude. Forse.
In fondo la telefonata tra il leader africano farlocco non ha rivelato nulla di che. Al netto del pasticcio tecnico, politicamente Meloni non ne esce indebolita. Però che due burloni russi, forse legati ai servizi segreti, anche se loro assicurano di no, siano riusciti a mettersi in contatto con Meloni per vie ufficiali senza essere scoperti non è certo cosa che può passare inosservata. Da qui le dimissioni di Talò.
La versione di Meloni, che fino ad oggi non aveva ancora parlato del fattaccio, non si discosta da quanto detto nei giorni scorsi dai suoi consiglieri e collaboratori. Ha precisato, tuttavia, di essersi accorta dello scherzo solo verso la fine della telefonata e non “subito”, come affermato dal sottosegretario Alfredo Mantovano. La sostanza non cambia. Meloni, giustamente, la mette in questi termini: “Se io ricevo una telefonata dall’ufficio del consigliere diplomatico la devo dare per buona…”. Non è che al telefono si possa fare una qualche verifica sull’interlocutore che sta dall’altra parte della cornetta. Il dubbio però è arrivato solo “alla fine della telefonata, soprattutto nella parte in cui sui è parlato del nazionalismo ucraino che è un tema tipico della propaganda russa”. Semmai il vero pasticcio arriva dopo. Meloni infatti segnala i propri dubbi al consigliere diplomatico ma evidentemente c’è stata “una superficialità nel procedere ad una verifica”. Tanto che al premier “non è tornato un alert e la cosa non mi ha consentito di muovermi”. Meloni ha dato “per scontato che le cose fossero corrette” e forse è venuta a sapere dello scherzo solo a pubblicazione avvenuta.
Palazzo Chigi non è la prima vittima dei due comici russi Vovon e Lexus. Nella rete è caduto pure Pedro Sanchez, premier spagnolo. E anche un campione di diplomazia come Harry Kissinger si è fatto fregare. Resta però l’inciampo che, di certo, non deve ripetersi. Anche perché poteva esporre il Paese a non poche difficoltà, soprattutto ora che l’Italia potrebbe finire nel mirino della disinformazione “per le posizioni che abbiamo assunto a livello internazionale”. “Io non ho detto nulla di nuovo – ha spiegato Meloni – io sono consapevole che le opinioni pubbliche, anche la nostra, soffrono per le conseguenze del conflitto. È un tema che ho segnalato a 360 gradi. Non sono un alieno per non capire che tra inflazione e prezzi delle materie prime non ci siano conseguenze”.