Mentana e Segre cancellati? Chi di censura ferisce, di censura perisce

Meta colpisce un post del direttore in difesa della senatrice a vita. Ma quando le idee difformi sul Covid venivano punite, nessuno si indignava

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Mentana Segre

Il sonno della ragione genera algoritmi, tuona Chicco Mentana, ma gli si attaglia per l’occasione un’altra chiosa: chi di algoritmo ferisce… Mentana è il piccolo principe di Open, reame fatato di apprendisti giornalisti col compito, da nessuno conferito, di stabilire la verità. O meglio, qualcuno gliene ha dato facoltà, è Marc Zuckeberg, lo spione sommo dei nostri tempi, il capo di Meta che si vanta di avere intercettato solo in America 16 milioni di contenuti inerenti il vaccino Covid: ogni volta che qualcuno riferiva (riferisce, i pentimenti lasciano il tempo che trovano, specie se pubblicitari, la contraerea continua imperterrita) conseguenze di sorta dopo una dose, partiva la censura: niente doveva turbare la Narrazione sull’elisir di lunga vita, rivelatosi potenzialmente di fulminea morte. “Me lo aveva chiesto il governo” piagnucola Marc con lacrime e sorriso rettilesco, o rettiliano, per dire io non c’entro, sono solo un povero miliardario che finanza i Dem che mi danno i diktat e che in America teorizzano apertamente il controllo di stampo cinese sui social.

In America? Zuck per agire nel resto dell’Occidente si serve di agenzie, per così chiamarle, come l’italiana Open che più volte si è vantata di operare per Meta, a suon di “FALSO!!!”, “FUORI CONTESTO!!!”, coi punti esclamativi, che fanno più autorevolezza. Succede però che lo zelo superi la sinergia e un post di Mentana in difesa di Liliana Segre venga segato dalla filiale Instagram di Meta. La anziana senatrice a vita di origine ebraica era stata additata dai fuori di testa filo Hamas e filo Hezbollah, in prima fila l’ineffabile Chef o Ceff Rubio, di essere un agente sionista, una Mata Hari di 94 anni: deliri che lasciano il tempo che trovano, ma Mentana, comprensibilmente, aveva reagito in difesa della senatrice. E, da Mata a Meta, i Servizi di Zuckerberg lo hanno subito fatto esplodere in volo, con prevedibile reazione un po’ da ayatollah dell’informazione: “Il sonno della ragione genera algoritmi”. Da che pulpito!

Va detto che, lasciateci esagerare anche noi con le citazioni adattate, essendo la Rete uguale per tutti ma per qualcuno più uguale, un minuto dopo le vibranti proteste del collaboratore esterno di Meta, il suo post è stato ripristinato con tanto di discarico di colpa sul barile dell’algoritmo, che è una categoria dello spirito o della fisica quantistica, c’è ma non c’è però c’è a seconda delle convenienze. Invece dietro l’algoritmo c’è l’umanoide, c’è lo spione o lo zelante e se il post viene riammesso a corte qualcuno ce l’avrà rimesso. Meta deve ancora decidere dove dirigere i suoi “algoritmi”: strategicamente è della sinistra fighetta e cattiva, fricchettona e calcolatrice dei propal, antisemita per istinto, ma con licenza e necessità di riconvertirsi, previo pentimento millantato, si tratti di conflitti o di vaccini.

Mentana senza volerlo scopre un nervo, e grosso nervo, della Rete; senza volerlo perché non vuole, non gli conviene. È il nervo di cui scrive stamattina Gustavo Bialetti sulla Verità: “[Mentana] Si è probabilmente dimenticato che Open, dal 2021, collabora con la stessa Meta nel controllo dei «fatti», controllo che pulisce la coscienza delle sue piattaforme social e, certo senza volere, contribuisce all’uniformità di pensiero e al conformismo online, sancendo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. La libertà di pensiero e di espressione dovrebbe essere un bene sacro e inviolabile, anche per i colossi quotati a Wall Street e a fiscalità, diciamo, «agevolata». Se aver censurato l’ottimo Mentana porterà a una riflessione sulla dittatura dell’algoritmo, siamo tutti contenti”.

Ma è difficile aspettarsi resipiscenza dove c’è finanza. Siffatte minima immoralia riportano peraltro a più vaste e più gravi questioni come quella del cosiddetto conflitto ai confini occidentali e in esso di Israele, del suo diritto a sostenerla e/o criticarla possibilmente senza dare i numeri. Qui le cose si complicano e ne esce un mondo di pazzi: da una parte quelli che considerano una retore opportunista quasi secolare una sirena capace di sedurre per raccogliere segreti; dall’altra chi mette in conto qualche decina di migliaia di bambini, di innocenti per la cattura di un capo terrorista: “Operazione chirurgica” quella che per centrare un Vecchio della montagna, ignobile fin che si vuole, tira giù sei palazzi e quasi mezza città? Ma non pensano che così facendo si finisce per originare nuove generazioni di terroristi allevate nel risentimento pretestuoso? Ci pensano ma hanno pronta la soluzione finale, farli fuori tutti nel segno del perenne espansionismo difensivo che si avvita.

I regimi occidentali, sempre meno democratici anche nell’apparenza, di cui sempre meno si curano, hanno da lungo tempo rinunciato ad applicare un argine sui confini e un controllo ferreo al di qua di essi, col bel risultato di ritrovarsi in pancia, sempre più incattiviti e feroci, gli stessi ai quali danno la caccia nel resto del mondo. Un mondo di pazzi o, per dirla in modo analitico, un Occidente confuso in un tempo che si nutre di contraddizioni perenni: rigurgitante valori improntati a mitezza, a dialogo, a tolleranza, a inclusione, a pacifismo, le marce coi frati, i bandieroni arcobaleno che mettono insieme disarmo e confusione sessuale, ma talora esaltato all’idea di Beirut polverizzata e già tocca al prossimo. Per cosa? Per infilarsi in un pantano dietro l’altro, secondo esito vietnamita o iracheno? Per l’idea folle di estirpare un terrorismo che alligna in un contesto di 2 miliardi di persone, senza la minima possibilità di spuntarla?

“Vorrei ma non posso ma voglio lo stesso”, senza alcun interesse per una strategia diversa, contenitiva, che sarà pure improbabile ma se non va perseguita è la fine. In questa ambiguità la sinistra in particolare ci affoga, con esiti grotteschi visto che è costretta a difendere la vecchia senatrice ebraica dagli attacchi dei suoi giovani che manda in piazza a sostegno del terrorismo palestinese. Ma dividersi con furori ultrà non porta a niente: Israele non va demonizzato a prescindere ma neppure esaltato a prescindere. Non può essere capro espiatorio come non può essere insindacabile, dovrebbe essere lecito criticarne le opzioni, come per chiunque: condannare l’espansionismo russo e giustificare quello israeliano, sia pure mosso da presupposti di sopravvivenza, pare esercizio sempre meno praticabile. Ma se non è lecito osservare che questo perenne allargamento difensivo dopo le migliaia di morti innocenti, di bambini sacrificali, esaurisce i suoi alibi, che comunque fa comodo a chi vuole mantenere un ruolo egemone senza sporcarsi le mani, si rischiano conseguenze apocalittiche, tanto più che la faccenda sembra ogni giorno di più sfuggire non tanto al controllo dell’ONU quanto a quello dell’umana ragione che si pone il problema delle conseguenze di un determinato atto. Ma esiste ancora una umanità raziocinante a questo mondo?

Max Del Papa, 1° ottobre 2024

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