L’inchiesta di Quarta Repubblica ha portato alla luce il lato oscuro del centro sociale Askatasuna di Torino. Nell’epicentro di questo scandalo, vi sono le testimonianze strazianti di inquilini di una palazzina gestita dal centro sociale, che denunciano atti di violenza senza precedenti. Come racconta una delle vittime all’inviata della trasmissione di Nicola Porro, una donna di origine nigeriana, “Mi davano pugni, mi prendevano la testa, non mi lasciavano uscire. Quando mi hanno liberato sono uscita e ho visto (mio marito) con il sangue sulla faccia”.
Secondo i dettagli emersi, tutto ruota attorno ad una palazzina che il centro sociale occupa dal 2015 e che ospita alcuni immigrati. Gli inquirenti sostengono che una delle famiglie di stranieri che vi abitava, sarebbe stata oggetto di violenze da parte di una trentina di membri del centro sociale. La “colpa” della famiglia, secondo chi indaga, era quella di non aver pagato la quota per alloggiare e forse anche di non aver partecipato abbastanza alle attività di protesta del centro sociale.
La donna nigeriana racconta gli orrori subiti: “In quel momento ero incinta, ho perso il bambino per le botte che mi hanno dato”. Ricorda di essere stata rinchiusa e picchiata, di aver visto il marito fuori sanguinante, ma di non sapere cosa stesse accadendo. “Io gridavo, mio marito era fuori, non ho visto che lo picchiavano: io ero chiusa dentro e non sapevo cosa stava succedendo”.
Nonostante le numerose proteste a favore dei diritti dei migranti, dopo aver intercettato i militanti di Askatasuna gli inquirenti si sono convinti che “le motivazioni antirazziste poste alla base della protesta” sarebbero “totalmente smentite dalla radicata indole razzista dei militanti di Askatasuna“. L’inchiesta che ha portato a processo 26 membri del centro sociale, di cui 16 anche per associazione a delinquere, con richieste di pena che complessivamente raggiungono gli 88 anni di reclusione.