Sport

“Mi identifico fluida”. E allora? È donna e corre con le donne

Il caso di Nikki Hiltz abbatte le pretese del woke sull’onda di Imane Khelif. L’americana si sente non binaria ma non c’è scampo: correrà tra le signore, come biologia vuole

© blackdovfx tramite Canva.com

Heri dicebamus che il woke è stupido e destinato a seppellirsi sotto le macerie dei suoi assiomi insostenibili, delle sue contraddizioni inconciliabili; ebbeh, l’informazione woke di pronto intervento non è meno diversamente acuta, prendi ad esempio l’Inkiesta, con la k, che ci ammolla un pippone estenuante – quella che in gergo giornalistico si definisce “pisciata” – per magnificare il caso di tale Nikki Hiltz, da Santa Cruz, California, velocista, ma mica tanto, che, tra un dodicesimo posto e l’altro, brilla per tutt’altra performance: è una percettiva, una che non si riconosce, insomma una possibilista: “Non mi identifico con il genere che mi è stato assegnato alla nascita (sic!)”, bla bla bla. E sticazzi?, sarebbe il caso di dire.

Allora, famo un po’ d’ordine, perché la manfrina è chiarissima, ma non per tutti: Nikki, finalmente un’americana che per la sinistra non fa schifo, non puzza di patriarcato, di Trump, di dominio, di maschiabiancatossica, vuole scegliersi il sesso che le pare, benissimo, padronissima, vuole andare con chi le piace a lei, ottimo, favoloso, chi lo discute, chi se ne frega, ‘n’omo na donna n’omo na donna, un tavolino, un unicorno, fatti esclusivamente suoi, e che c’entra tutto questo con lo sport? L’Inkiesta, con la k, si sfinisce, e ci sfinisce, per cercare una connessione logica, ma la connessione nun ce sta; puntualmente, tutto il pippone piscione finisce per sconfessare l’assioma di fondo, confermando ciò che si voleva negare. Che, in due parole due, sarebbe quanto segue: la indecisa, fluida, eventuale Nikki può percepirsi quello che vuole, ma sempre con femmine e tra femmine e contro femmine corre. Anche perché correre contro maschi non le conviene e lo sa, non si sogna proprio. La sua fluidità si ferma al bordo della pista. In ancor meno parole: donna sei e donna resti, l’udienza è tolta.

Lo vedi allora? Poi hai voglia a sfarfalleggiare, “il suo è un caso all’apparenza meno controverso rispetto a quello di altre colleghe, ma la cui rilevanza politica e sociale nel cammino verso uno sport più inclusivo ha una portata storica”. Pessimo giornalismo già a partire dallo stile, pessima informazione che non informa, sforma, gira intorno e pontifica. La Nikki, che è indubitabilmente una la, anche se non si riconosce nel sesso “che le è stato assegnato”, manco nascere fosse una lotteria, si adegua alla logica e alla biologia, non ci sono percezioni che tengano, la sua “rilevanza” è del tutto personale, opinabile, circoscritta all’autodefinizione narcisistica, ma in nessun modo oggettivizzata: ne deriva quanto segue: che la percezione è bella se sai come usarla: quando fa comodo, la si sbandiera come un paio di mutande, quando non conviene ci si rifugia nella formula del legalismo autoritario, “sono le regole”, come predica Chiara Valerio.

Le regole che poi non esistono, che nel caso della “pugila” algerina sono state fatte ad hoc, anzi ad personam, siccome le regole codificate già la avevano squalificata o non ammessa in più occasioni. Invece il Cio olimpico ha deciso che non contava altro che il picco testosteronico, che dei sofismi cromosomici se ne fotteva, e vai col tango: “sì, Khelif non è idonea, la sua fisiologia non è compatibile, ma l’inclusività è più importante”. Quando si dice il rigore. Ma, intanto, la organizzazione della boxe mondiale ha reagito, tutte le istituzioni sportive hanno sancito che “la Khelif” a menarsi tra le donne non ci può proprio stare: resta alle Olimpiadi per una di quelle ipocrisie percettive che rendono “le regole” carta straccia, più o meno come le elezioni europee. Un’atleta che si vede inibita in ragione della sua fisiologia continua a combattere per una sorta di scia, o di risacca, del politicamente corretto, mentre perfino l’ONU – perfino l’ONU, che è tutto dire, le revoca il ruolo di testimonial per l’Unicef, il che la rendeva ancora un po’ più intoccabile.

Ma sulla “corridora” Nikki, nessuno sdottoreggiamento a base di improvvisati tuttologi che dal clima si spenzolano fino alla genetica, nessun cazzo di cromosoma xy, niente curve o picchi, niente scientismo da bar sport o da virologi avanspettacolo: non serve, non conviene, si torna alla percezione, con il non trascurabile dettaglio che, mettila come vuoi, correre sul tartan non mette a repentaglio nessuno, se non, eventualmente, il ridicolo di chi “si è trovata assegnata donna”, però non si percepisce come donna, però neanche come uomo, però corre con le donne, non con gli uomini. Vabbè. Alla fine, come direbbe Pasquale Ametrano, “’o sapete che c’è?”, lo volete sapere cosa resta di tutta questa buffonata che mescola, e confonde, genetica, percezione e cazzate? Che, sulla pelle in mutazione di questa faccenda, alle prossime politiche avremo due elette in più: una è la Federica Pellegrini, la “divina” (de che?) piddina; l’altra, purtroppo, la nostra Angela Carini che pare già incistata nel cerchio magico della Meloni, dei preti “sociali”, ugualmente rompicoglioni siano di sinistra o di destra, dell’opportunismo divistico.

Cara Angela, io sono stato il primo a difenderti, perfino ad esaltarti (e subito me ne pento: mi ripigliasse un linfoma se mi lascerò ancora incantare da qualcuno, fosse pure Gesù Cristo riavvenuto), ma se finisci nel giro del potere a 25 anni, ti faccio un culo che quello della Imane al confronto è un piumino da cipria. Non farci capire che era tutta una recita, come già sospettano, non farci assistere alla mortificazione di finire come una qualsiasi occupatrice di case solo disoccupando il ring. Torna su quel cazzo di quadrato e legittima una scelta coraggiosa, invece di mandarla in vacca fornendo pretesti al woke stupido, sì, ma sempre acceso quando si tratta di confondere la realtà.

Max Del Papa, 4 agosto 2024

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