Il compagno Marco Rizzo piace alla destra antoglobalista e anticapitalista: “Sarà un comunista, ma la penso come lui”; piace anche alla base dei duri e puri che non si fanno incantare e aspettano il secondo avvento di Baffone. Il compagno Marco Rizzo piacerebbe anche a noi, non fosse che è dichiaratamente stalinista e difende o almeno comprende i peggiori regimi non solo di Caracas ma anche di Pechino, Pyongyang e dintorni, con il seguente argomento (detto di persona a chi scrive in una lontana polemica televisiva): “Almeno non si nascondono, le democrazie invece sono infide e autoritarie”.
Ora il compagno Rizzo si scaglia contro la globalizzazione targata woke, perché va bene tutto ma a un compagno duro e puro, anche quando “va in paradiso”, non toccategli l’altra metà del cielo: lo fa con un intervento incendiario seppure scontato – tira in ballo i soliti cantanti indefinibili degli anni ruggenti, ci mette dentro pure Boy George, e fin qui siamo d’accordo, siamo all’ovvio – ma dove davvero tovarish Rizzo esplode, riscuotendo una ovation, standing come un biscottone in tiro, è quando proclama: “Mi piace la gnocca e non rompetemi le palle”. 92 minuti di applausi! Non pago, si scaglia contro l’unica dittatura che probabilmente non gli piace, quella delle quote, delle presunte minoranze: “Non c’è pubblicità, non c’è film dove non ci sia un gay, un nero…”. Oddio! E va già bene che non ha detto “negro”. Mo’ bravo, compagno, boyadè!
Rizzo ce l’ha con l’imposizione di un modello, e dategli torto; rivendica libertà di scelta, che per un comunista è la bestemmia imperdonabile, l’apostasia somma, roba da plotone di esecuzione immediato, e lo fa col ghigno sardonico di chi sa che la sta dicendo grossa. Ma con quella pelata può dire ciò che vuole, lui viene da una lunga storia di militanza sinuosa, compagno sì, ma alle sue condizioni: autoritario? No, pluralista, trinariciuto? Macché, fin troppo aperto, ortodosso? Ma se non gli va bene niente. Dite che è troppo facile celebrare ogni anno la nascita di Beppone Stalin e predicare la tolleranza libertaria e democratica da “de gustibus”? Sì, è troppo facile, troppo comodo, ma teniamoci il buono.
Un compagno confuso e felice, questo Rizzo, o uno che sa dove vuole andare? Noi diremmo la seconda, un comunista vero non parla mai per passione ma sempre per calcolo e il calcolo di Rizzo ci pare lucido come il cranio, affonda il bisturi nella infezione di una sinistra perennemente sull’orlo di una crisi di identità: quo vadis, compagno? “Quo vadis dove dico io e quo vegnis un càncher”, avrebbe risolto la faccenda Peppone, quello di Guareschi. Rizzo non è un meccanico, è uomo di buone letture e di lunga formazione e sa, capisce che la sinistra dalla quale proviene urla, sbraita, scende in piazza per Hamas e Hezbollah, ma è tutto teatro, in effetti sta evaporando, leninisticamente divorata dall’interno: la profezia dell’inventore funziona alla rovescia, è il capitalismo o meglio ciò che gli è succeduto, è la finanza egemone che ha divorato la produzione, cancellato la classe operaia, annientato la coscienza del proletariato, comperato l’informazione trasformandola in comunicazione, per dire pubblicità che è il regno dei miraggi e delle menzogne, è questa finanza globalizzata che l’ha spuntata e detta i suoi modelli e i suoi rituali che del costume comunista, del lascito comunista hanno poco e niente.
Si ripete da almeno venti anni, pensatori in fama di reazionari come Legutko ci ripetono che il woke sarebbe una riverniciata tecnocratica del marxismo, ed è vero e non è vero: dell’approccio comunista il woke conserva l’arroganza e la prepotenza, la pretesa di imporre modelli sulla base di una autocertificazione di superiorità, conserva pure l’utopia rivoluzionaria, ma dal comunismo storico si differenzia per un approccio velleitario in modo sconcertante nei mezzi, per l’idolatria tecnologica e per la vaghezza, al limite dell’ambiguità, con cui postula l’indeterminismo di tipo ludico o rivendicativo.
Non c’è spazio per dure logiche operaie nell’universo di panna rancida woke, non vi è contemplata neppure come luogo mitologico, come contesto idealizzato la fabbrica per cui un marxista nutriva un sentimento ambivalente, inferno padronale ma allo stesso tempo fucina di coscienza, orizzonte di lotta e di cogestione, in bilico tra il “lavoro di merda” degli autonomi parassitari e il lavoro nobilitante, identificante della classe operaia. Quanto al sesso, i comunisti le femmine le “parificavano”, cioè le defemminizzavano, le scomunicavano come puttane se si truccavano e tenevano alla loro sensualità, le rendevano pari agli uomini nella fatica e nella dannazione, ma restando chiaro il ruolo subalterno, ovunque, fabbrica o focolare; compagne sì ma all’occorrenza schiavette: come dicevano le giovani femministe deluse della contestazione, “io la figa la do a chi dico io non al capocellula”, ed erano carne da letto o da legnate nella Lotta Continua dei compagni Sofri o Erri de Luca.
La distinzione dei ruoli restava convenientemente netta, e quanto ai gay, ai “fluidi”: usati come carne da cannone, strumenti di attacco al sistema borghese, ma pur sempre compatiti, all’occorrenza sviliti. C’è un machismo nel post marxismo novecentesco che rispetta il cantante di successo, che non ha coraggio di sfidare il divo, ma al quale repelle la svirilizzazione del nessuno qualsiasi: pochissimo spazio alle “checche petulanti”, gli eretici come Pasolini discriminati oltre ogni dire, e Pasolini, tenuto in fama di pedofilo, di borghese decadente, aveva gli strumenti culturali per resistere. Comunque più utile da morto che da vivo, meglio postumo che rompicoglioni petulante. Il femminismo sempre preso con le pinze, mai fidarsi di queste erinni che vogliono gli stessi nostri diritti e ci credono davvero. Il marxismo è sociologia, filosofia se preferite, elitaria, snobistica. E profondamente reazionaria.
Tutto questo il compagno di lungo corso Marco Rizzo lo sa e, dietro l’elogio della tolleranza, sacrosanta ma per niente comunista, sembra rimpiangerlo,: ruoli precisi, bocce ferme! E va a fare l’elogio della gnocca che fa girare il mondo, la fica come ultima thule di un comunismo consumato, messo fuori gioco dal consumismo dei miraggi e delle grandi bugie: cosa ci sia di rivoluzionario in un Fabrizio Petrillo alias Valentina che pretende di correre con le donne e, in base a logiche pubblicitarie, lo accontentano, è difficile dire così come è del tutto mistificata la moderna tratta dei disperati in funzione rivoluzionaria: una cazzata del genere la poteva dire Toni Negri, la può ribadire Bergoglio, ma alla prova dei fatti le migrazioni bibliche si sono tradotte in lacrime e sangue soprattutto per i poveri, per i proletari, anche se i proletari non ci sono più o non sanno di esserlo, rifiutano di esserlo.
Vogliamo parlare dello strampalato approccio ambientalista, qualcosa che avrebbe fatto inorridire un comunista reale? Ma è l’eterno inganno della finanza totale, spacciarsi di sinistra e coltivare la forma più efferata di turbo capitalismo. Il compagno Rizzo è un simpatico ribaldo quando rivendica libertà di gnocca, ma bisognerebbe capire quanto la sua libertà sia sincera e quanto invece orfana di un’idea che la libertà, come la confusione, la considerava demoniaca, né più né meno.
Max Del Papa, 7 ottobre 2024
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