Antonella Zedda, esponente di Fratelli d’Italia, si è trovata al centro della discussione in Aula del Senato. La corte di appello ha proclamato Zedda “senatore”, come ha tenuto a puntualizzare al presidente di turno Gian Marco Centinaio, che l’ha invitata a parlare chiamandola invece “senatrice Zedda”.
Quest’ultimo, apparentemente perplesso, ha concluso: “Chiamatevi come volete, senatrice, senatore, basta che lasciamo parlare la sen…, il senatore Zedda”. Zedda ha ribadito il concetto, nonostante il brusio dell’Aula che si è fatto sentire, ironizzando sulla sua richiesta: “La Corte di Appello mi ha proclamato senatore, mi chiami senatore, per cortesia, non senatrice”.
La discussione è avvenuta prima dell’intervento di Zedda sul dl Pa2. Questo episodio ha messo in evidenza la questione di genere nella politica italiana, dimostrando come la lingua possa diventare uno strumento di lotta simbolica. Da un lato la legge, che attraverso l’appellativo di “senatore” non prevede distinzioni di genere, dall’altro il contesto sociale, dove la distinzione tra “senatore” e “senatrice” viene comunemente utilizzata.
Questo episodio rappresenta solo l’ultimo capitolo di un dibattito sulla questione di genere nella politica italiana, dibattito che, come dimostra il caso di Zedda, è ancora lontano da una conclusione.