“Mia figlia usata per fare pressioni”. Che errore il trattamento a Eva Kaili

L’ex vicepresidente del Parlamento Ue è libera e parla: l’arresto per il Qatargate, la carcerazione preventiva, la distanza dalla figlia per 4 mesi

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EVA KAILI PARLAMENTO UE QATARGATE

In pochi, oltre a questo nostro sito, hanno ribadito un principio garantista che dovrebbe valere in Italia così come a Bruxelles: nessuno merita il carcere senza accuse chiare, precise, circostanziate. E soprattutto nessuno merita la galera preventiva se non ci sono rischi di fuga, reiterazione del reato o inquinamento delle prove. L’arresto di Eva Kaili, la bella ex vicepresidente del Parlamento Europeo, ci sembrava proprio uno di quei casi in cui i giudici per eccesso di foga sbattono dietro le sbarre pure la madre di una bimba di due anni anziché tenerla – se proprio necessario – ai domiciliari.

Sì, certo: lo scorso 9 dicembre la greca chiese al padre di portare via una valigia piena di soldi con 700mila euro in contanti; il marito Francesco Giorgi pare fosse a conoscenza delle mazzette dell’ex parlamentare Antonio Panzeri; e non sembrano esserci molti dubbi che un pezzo di sinistra europea, con tanto di Ong al fianco, sia stata beccata con le mani nella marmellata del Qatargate. Eppure Eva Kaili si è sempre dichiarata innocente. Ha sempre assicurato che con quei soldi non c’entrasse nulla, benché dovrebbe spiegarci per quale motivo non abbia denunciato tutto alla polizia anziché nasconderli. Però in attesa dell’accertamento dei fatti sarebbe forse potuta restare a casa con la figlia, anziché passare 4 mesi in cella e costringere la piccola alle visite in carcere. “È stato terribile – racconta Kaili -: separare una madre per 4 mesi dalla figlia di 2 anni non solo è considerata una forma di tortura nei paesi fondati sullo stato di diritto, ma è in piena violazione della Convenzione sui diritti dei minori delle Nazioni Unite ratificata dal Belgio”. Era davvero necessario separarle oppure, come dice l’eurodeputata, “le indagini avrebbero potuto procedere allo stesso modo con me ai domiciliari”? Davvero è stata “usata mia figlia per farmi pressione”? E perché impedirle di vedere la bimba per un mese intero? “Durante i nostri rari incontri, si nascondeva e piangeva per non lasciarmi. Ora mi tiene la mano o mi mette le mani intorno al collo per dormire”. In fondo, la relazione finale della polizia belga nel luglio del 2022 aveva scritto in una relazione che “non ci sono elementi per dire che Eva Kaili facesse parte dell’organizzazione” criminale.

Clicca qui per vedere l’intervista esclusiva di Quarta Repubblica al magistrato del Qatargate

Ai molti dubbi già sollevati in passato, ora se ne aggiungono due. Il primo riguarda l’intervista rilasciata al Corriere della Sera: il cronista ha tenuto a precisare che le domande agli avvocati della Kaili sono state inviate prima che il giudice Michel Claise le vietasse di rilasciare dichiarazioni alla stampa con un provvedimento successivo alla revoca dei domiciliari in cui è rimasta due mesi. È normale vietare a una donna in libertà di parlare? Il secondo dubbio emerge invece proprio dalle risposte della Kaili, parole che gettano non poche ombre sull’operato della magistratura belga. Innanzitutto il trattamento subito dopo l’arresto: “Al commissariato di polizia sono stata messa in isolamento in una cella con luci e telecamera di sorveglianza sempre accese, senza acqua corrente – ricorda Kaili – Ho sofferto il freddo gelido perché mi è stato tolto il cappotto. Ero preoccupata per la mia bambina, perché i primi giorni non mi è stato permesso di chiamare un avvocato, né la mia famiglia”. E poi le modalità in cui i magistrati avrebbero cercato, il condizionale è d’obbligo, di ottenere le confessioni: “Dichiarandomi colpevole o facendo nomi importanti sarei tornata subito da mia figlia, ma dato che avrei dovuto mentire, non ho mai nemmeno pensato che potesse essere un’opzione”.

Per approfondire

Per Kaili sono “metodi non degni” di un grande Paese europeo. E ha ragione. Innocente o colpevole che sia, se quanto da lei raccontato fosse vero meriterebbe una attenta riflessione sulla salute della giustizia europea. Come dovrebbe far pensare la reazione del Parlamento Ue alla notizia degli arresti: come una Tangentopoli qualsiasi, il primo pensiero del Palazzo è stato quello di revocare la vicepresidenza alla Kaili senza rispettare alcuna “presunzione di innocenza”. “Mi dispiace – dice Kaili – che nessuno degli eurodeputati mi abbia cercare per ascoltare la mia versione”. Una versione che potrà essere vera, falsa, rivisitata: Kaili potrà pure essere colpevole e corrotta, sarà il processo a dirlo. Ma fino a prova contraria va considerata innocente e il motivo è semplice: qualora venisse assolta, i giudici del Belgio avranno tenuto in cella per quattro lungi mesi (e lontano dalla figlia piccola) una donna innocente. E questo non sarebbe perdonabile in uno stato di diritto.

Giuseppe De Lorenzo, 5 giugno 2023

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