Per buona parte della giornata la terza notizia del sito di Repubblica è stata una fondamentale dichiarazione di Michelle Obama. “Da qualche tempo soffro di una lieve depressione e sto cercando di combatterla”, ha dichiarato nella seconda puntata del podcast in cui dialoga con l’editorialista del Washington Post Michelle Norris (diciamo un filo meno incalzante di quanto fu Frost con Nixon durante il Watergate). “Non è stata solo la quarantena dovuta alla pandemia”, precisa subito l’ex first lady, anche perché immaginiamo per lei sia stata fortunatamente più agevole che per un operaio di Alzano Lombardo.
No, la causa clinica scatenante è un’altra, il male oscuro è chiarissimo, i colpevoli sono annidati lì, in quello Studio Ovale che Michelle conosce così bene. Nella fattispecie, “il solo vedere questa amministrazione, la sua ipocrisia, giorno dopo giorno, è imbarazzante”. Essì, l’esistenza di un avversario politico, di qualcuno che guida l’America con ricette diverse da quelle radical-vegane che piacciono tanto a Michelle (possibilità che è il senso stesso dell’America, verrebbe da dire a noi non depressi), scelto dagli americani in libere elezioni contro le consegne del clan Obama, dev’essere davvero un trauma difficile da elaborare. “Svegliarsi sentendo le notizie sugli scontri razziali, le notizie su come questa amministrazione ha risposto o no, sentire un’altra storia di un nero che viene privato della sua umanità, ferito, ucciso o falsamente accusato, è estenuante. E questo ha portato a un peso che non avevo mai sentito nella mia vita”. Non l’aveva mai sentito, Michelle.
Non l’aveva sentito nel luglio 2016, quando tre afroamericani furono uccisi dalle forze dell’ordine a distanza di pochi giorni, in Louisiana, Minnesota, Texas. Non l’aveva sentito nell’aprile 2015, quando l’afroamericano Freddie Gray morì a Baltimora in seguito all’arresto da parte della polizia (evidentemente, una vita nera che contava sì, ma meno di quella di George Floyd). Non l’aveva sentito nemmeno nei giorni successivi alla scomparsa di Gray, quando squadracce “Antifà” analoghe a quelle viste in azione negli ultimi mesi e glorificate dal duo glamour Michelle&Barack misero a ferro e fuoco la città, e il marito presidenziale rilasciò dichiarazioni che fanno sembrare Donald Trump un pacifista hippy: “Questa non è una protesta. Questa non è una affermazione. Sono teppisti che approfittano di una situazione per i propri scopi e devono essere trattati come criminali”.
No, allora, incidentalmente quando il signor Michelle era l’inquilino della Casa Bianca, andava tutto bene, gli afroamericani uccisi erano casi di cronaca (come qui crediamo siano) e non l’annuncio del ritorno della schiavitù, l’equilibrio psicofisico della signora era intatto. Adesso, invece, racconta: “Ho problemi di sonno, mi sveglio nel pieno della notte in stato di ansia, e ho problemi” – tenetevi forte, qui siamo alla radice del male di vivere scandagliato da Montale – “nel seguire il mio programma di esercizi fisici”. Maledetto Donald razzista sessista suprematista laqualsiasista, che coi suoi crimini reiterati arriva perfino a incidere sui pomeriggi in palestra di Michelle. La quale poi per forza si “sveglia preoccupata nel cuore della notte”, perdipiù “con un senso di pesantezza esistenziale” che non passa, nonostante i vari medicinali tentati, Russiagate, Ucrainagate, ora l’indagine fiscale, l’Orco è ancora lì.