Quasi un omicidio su quattro rimane senza colpevole. È questo il dato rilevante, pubblicato da TrueNumbers, sull’incidenza degli assassinii in Italia. Solo nel 2021, gli omicidi volontari sono stati 277, con la provincia di Caltanissetta che detiene il triste primato – 2,3 morti ogni 100 mila abitanti. Seguono, poi, altre due città del sud: Foggia e Reggio Calabria, rispettivamente al secondo e terzo posto, con un indice di crimini pari a 1,8 e 1,5.
Record negativo al Sud
Un elemento particolare, accomunante le province, è che tutte e tre presentano redditi medi pro capite tra i più bassi d’Italia. Foggia, infatti, vanta un reddito medio pari a 18 mila euro e una qualità della vita al 106º posto; Caltanissetta, in seconda posizione, con 17 mila ed ancora più giù Reggio Calabria (12 mila). Insomma, secondo le statistiche, pare evidente che una maggiore povertà economica porti direttamente ad un aumento dei crimini, anche di quelli più efferati. È poi la Puglia ad essere la regione con più casi senza un colpevole, raggiungendo picchi che sfiorano il 60 per cento.
Nel 2019, sono rimasti senza colpevole quasi il 24 per cento degli omicidi compiuti, con la percentuale che si alza drasticamente se ci si concentra solo sui crimini di stampo mafioso. Non è un caso che quasi l’80 per cento di questi delitti non trovi un responsabile, anche se la percentuale è in costante calo rispetto alla titanica cifra del 96 per cento di dieci anni fa. In linea generale, sono ancora le regioni meridionali a detenere preoccupanti record. Le ragioni sono essenzialmente due: minore ricchezza economica e maggiore espansione del fenomeno mafioso.
I casi Campania e Calabria
In Campania, infatti, ben il 34,3 per cento degli autori di omicidi volontari non è stato trovato (dati riferenti al 2019), mentre è la Calabria “il luogo in cui si uccide di più”. Al nord, invece, sono quattro le regioni in cui non ci sono casi irrisolti (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana ed Umbria). Queste cifre, che a prima vista parrebbero mastodontiche, rimangono comunque inferiori rispetto a quelle di altri Paesi occidentali. Per esempio, negli Stati Uniti, un colpevole su tre è a piede libero; mentre, sia in Germania che in Francia, il numero di omicidi volontari è aumentato, principalmente a causa del dilagare degli attentati terroristici di matrice islamista degli scorsi anni.
Processi eterni
Un triste record detenuto dall’Italia, invece, risulta essere quello relativo alla durata media dei processi. A causa di una forte e rigida burocrazia, il nostro Paese naviga tra le posizioni più basse del continente, con un decorso processuale penale minimo di quattro anni, per arrivare a picchi di sette. Il governo attuale, attraverso il lodo Cartabia, sta cercando di ridurre i termini temporali dei procedimenti, ma la soluzione sembra ricadere in una maggiore contrazione dei diritti dell’imputato.
Infatti, la nuova riforma conferma lo stop della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, ma introduce termini massimi per la durata degli ultimi due. E qui il primo problema: cosa succede nel caso in cui si dovessero sforare questi limiti, senza che si arrivi a sentenza definitiva? Il reato non si estingue, ma diventa improcedibile. La pena inflitta in primo grado non potrà né essere eseguita, né essere estinta, con il rischio che l’imputato rimanga in un eterno stato di limbo, senza poter essere assolto o condannato.
Se guardiamo agli altri Stati europei, i numeri degli omicidi e dei casi irrisolti rimangono confortanti, ma pur sempre alti. La soluzione per diminuirli è quella di una progressiva limitazione dei diritti difensivi, sostituendo il principio di presunzione di innocenza con quello di colpevolezza? La risposta deve essere no. Almeno per un Paese democratico e liberale.
Matteo Milanesi, 14 maggio 2022