Migrante la stupra a 10 anni e la mette incinta. Ma i giornali zitti e muti

L’accusa choc in un centro di accoglienza. Delitto da dimostrare? Certo, ma non essendo italiano nessuno urla e va in piazza contro il patriarcato

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Neve termosifone

C’è una canzone, recente, di Umberto Tozzi, molto bella, molto sconosciuta, “Mi chiamo Africa”, in pochi versi la storia di una che sbarca qui ma dopo poco si decide a tornare, ha scoperto che in Italia si sta peggio, che oltre l’orizzonte dei miraggi c’è il vuoto e il deserto. Questione di appoggi, di come ti sistemi, anche tra i migranti i sommersi e i salvati e a salvarsi sono i più feroci. Forse nella canzone dimenticata entrerà pure la storia anche di quella madre, presto nonna, di una bambina in un campo di accoglienza di San Colombano di Collio, alta Valtrompia bresciana. Le sta crescendo un orrendo pancino: che fosse incinta se ne sono accorti solo all’evidenza. Violentata da un immigrato come lei, un balordo che ha abusato di una di dieci anni senza ritegno: l’hanno portato in galera e quello protestava, invocava protezione, gridava al “rassismo”, è uno dei tanti, dei troppi pretendenti asilo che in cambio portano violenza e abuso.

“Che cosa è questo se non il fallimento dello Stato?”, si chiede Alessandro Rico su “la Verità”. Ma c’è forse qualcosa di peggio, c’è il fallimento dell’informazione, la sua omertà sconfortante per cui, ad esempio, sui giornali del gruppo Gedi, sulla StamPubblica che è una testata sola, di un simile orrore si fatica a trovar traccia: nell’edizione cartacea di uno non si trova niente, assolutamente niente; sull’altro, quello torinese, appena un circoletto in basso taglio. Sulla home page del giornale moralista fondato da Scalfari un’epoca fa, e quanto diversa epoca, per sapere che un sacro migrante ha stuprato una infante fino a comprometterla, bisogna farsi venire l’artrite da logoramento alle dita: scorri e scorri e non se ne parla, scrolli, scrolli e c’è: una (grottesca) difesa di Bibbiano, gossip a manciate, Boccia e Sangiuliano, influenza e vaccino, retorica giovanilistica, il caso di via Poma di 34 anni fa, destra puzzona, destra guerrafondaia, destra infame, destra che compera i parlamentari, Sinner che “tira troppo forte”, e poi “giù e ancora giù” come canta la Bertè, e sempre più giù, fino a consumarsi i polpastrelli, finalmente a fine corsa la trascurabile notizia di una di dieci anni messa incinta dal sacro migrante. Ma ristretta come un brodino, che meno la vedi e meglio è.

Lo sappiamo, si usa così, da anni, come stabilito dalla carta di Roma, che è un vassoio di bigné sulla tavola della retorica inclusiva, se il crimine è d’importazione si nasconde l’origine, si usano oscene perifrasi, circonvoluzioni, si mente, si distorce; se lo fa un italiano, si pubblicano al volo tutti gli estremi fino alle ecografie e si conclude: avete visto, non c’è differenza, anzi gli italiani sono peggio.

“Mi chiamo Africa”, me ne torno da dove sono venuta, qui nessuno mi difende. Ed è così e non lo è, se entri in Italia ti consegni al caos e ti ci rassegni: tanta retorica, tanti diritti, ma restano di carta, all’ordine sociale nessuno crede più, vige il si salvi chi può, il grosso della criminalità spicciola e sempre meno spicciola, la stragrande parte della malvivenza polverizzata, è di matrice immigrata, si deve al delirante interessato buonismo che ha dettato legge negli ultimi trent’anni di appartenenza europea, e che adesso nessuno sa più come arginare. Le carceri scoppiano di sacri migranti violenti, balordi, non perché siano “razziste” come vaneggia Ilaler Salis, una subito passata in nome dell’anticapitalismo rivoluzionario a sostenere la UE della finanza e della grande industria; ma semplicemente perché fin che una legge, anche teorica, anche sgangherata, regge in una democrazia formale, se un sacro migrante violenta e ammazza, tenerlo fuori non si può. Anche se la sinistra complice fa di tutto perché ciò avvenga. La sinistra fa sua la logica del fatto compiuto: siccome non è più possibile fermare l’invasione dei barbari, che abbiamo costruito con ammirevole impegno, tanto vale arrendersi e censurare le atrocità.

Non c’è solo il fallimento dello Stato, delle politiche sovranazionali, dell’informazione miserabile, c’è pure il disastro di una Chiesa che porta addosso una enorme parte di responsabilità in questo sfacelo sociale e civile. Vedi il parroco del paese che arriva a predicare: «Ciò che è successo è orribile ma non c’entra niente con l’essere migranti o meno, se non avessi letto il giornale, non avrei saputo nulla». Uno di mille, ormai quasi tutti i preti ragionano così: ecco il senso di un clero che ha ripudiato Gesù Cristo per votarsi a Ponzio Pilato: se una cosa non la sai, non esiste. Questo pastore teorizza né più né meno l’omertà e lo fa sulla pelle di quelli di cui Cristo diceva: “Meglio sarebbe per chi li viola che si legasse una macina da mulino al collo”. Oggi la Chiesa li difende, dice che essere come sono, essere chi sono, “non c’entra niente”, che basta non saperlo. Un giorno, forse, ci renderemo conto di aver perso il senno, capiremo le vere ragioni di questo accecarsi da soli, predicato perfino da cosiddetti uomini di Dio. Certo li muove il cinismo della concretezza: il business delle accoglienze resta in mano al clero in combutta con la sinistra, ai maneggioni di mare e di terra finanziati dal Vaticano, che ovviamente non ci perde. Ma c’è, ci dev’essere qualcosa che va oltre, come un fanatismo contagioso, un votarsi all’autodistruzione di corsa, da porci che si buttano nel burrone. Pretendere di non sapere, di non vedere che un richiedente asilo violenta per giorni e per mesi una piccolina, già abbastanza disgraziata vuole dire impegnarsi a non sapere. E a fare di tutto per non sapere debbono essere stati in tanti in quel centro di accoglienza.

Adesso chi la aggiusta quella bambina, chi la riporta a speranza, a fiducia nell’umanità? Tutti complici e la Chiesa legittima e l’informazione copre? No, ci spiace, tutto questo non può essere normale, non può diventare consuetudine, non ci sta bene.

Max Del Papa, 14 ottobre 2024

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