Due anni di governo, due anni di battaglie con i giudici. In Italia la vera opposizione non è il Partito Democratico o il Movimento 5 Stelle, ma è la magistratura. Negli ultimi mesi il botta e risposta si è intensificato sul dossier dei flussi migratori, in particolare dopo il via libera al piano Albania. L’ultima sentenza a gettare benzina sul fuoco è arrivata ieri: il Tribunale di Catania non ha convalidato i trattenimenti di alcuni migranti originari di Egitto e Bangladesh, non ritenendo i due Paesi sicuri. Lo stesso giorno in cui due egiziani hanno accoltellato un capotreno perchè sprovvisti di biglietto. Il provvedimento applica la normativa europea in quanto prevalente su quella italiana, anche sul decreto ad hoc di recente licenziato dal Consiglio dei ministri.
La sentenza alimenta uno scontro già molto teso. “Tanto rilevato, non resta che disapplicare ai fini della presente decisione il decreto-legge 23.10.2024”, uno dei passaggi. Sì, avete capito bene: disapplicare. O meglio, disapplicare una legge di un governo democraticamente eletto. Ed è forse lecito pensare che parte della magistratura vorrebbe impedire ogni contrasto all’immigrazione illegale e alla possibilità di rimpatriare chi entra illegalmente nel Paese. Anche perché la realtà supera la fantasia: la norma europea contrasterebbe la linea italiana, ma non quella tedesca che prevede il rimpatrio degli afghani o quella olandese che prevede il rimpatrio dei siriani. Robe da matti.
Partiamo da una certezza: Bangladesh e Egitto sono paesi che l’Unione europea riconosce come paesi dove i migranti possono tornare. Dunque se vogliono tornare è un paese sicuro, mentre se non hanno intenzione di tornare a casa ce li dobbiamo tenere qua. O almeno questa è la versione dei giudici, probabilmente ignari che ogni anno centinaia di migliaia di italiani si recano in Egitto per trascorrere le vacanze e che da quasi tre mesi in Bangladesh il presidente è l’economista Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006, non un pericoloso terrorista. Ma il punto è anche un altro. Può essere un giudice a stabilire la sicurezza di un paese? Evidentemente no. Questo compito spetta allo Stato, dunque al governo. La sentenza di Catania ha un unico obiettivo: ostacolare qualsiasi azione del governo volta a contrastare l’immigrazione illegale di massa.
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Un’altra domanda sorge spontanea. Quali sono i criteri della magistratura per definire un Paese sicuro o meno? Tabelle sui diritti umani, desiderata della sinistra o semplicemente l’Eden? Perché le teorie delle toghe – che rimandano alla direttiva europea – possono essere smontate rapidamente. Nessun paese è sicuro, nemmeno gli Stati Uniti d’America, dove c’è la pena di morte. Ma ci torneremo tra poco.
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Nella sentenza di ieri, uno dei motivi per cui l’Egitto non sarebbe un paese sicuro è il seguente: “È comune la pratica della ‘detenzione preventiva’ che viene attuata nel corso del processo a carico dell’imputato e dunque prima della pronuncia della sentenza”. C’è bisogno di aggiungere altro? Ma andiamo avanti, citiamo qualche bufala: il giudice catanese ha affermato che in Egitto il numero di esecuzioni per la pena di morte “è tra i più alti del mondo”. Falso. Secondo Amnesty International , gli Stati Uniti ha più esecuzioni dell’Egitto nel 2024. Non un pericoloso giornale di destra che odia i giudici comunisti.
Lo stesso discorso si potrebbe fare sulle torture. Il giudice nella sentenza parla di “denunce di un uso sistematico della tortura e di maltrattamenti da parte delle guardie penitenziarie, di membri delle forze dell’ordine e degli apparati militari”. La Fonte è il Comitato sulla tortura dell’Onu. In realtà, sempre secondo Amnesty International, la situazione non sarebbe così disastrosa, anzi. E ancora, i diritti Lgbt a rischio, con persecuzioni e discriminazioni “su vasta scala”. In questo modo, però, nessun paese africano potrebbe essere considerato sicuro, considerando l’influenza dell’islam e i sistemi arcaici di stampo patriarcale.
Franco Lodige, 5 novembre 2024
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